Alessio Schiesari, il Fatto Quotidiano 5/11/2014, 5 novembre 2014
ROB KAMPIA, IL LOBBISTA CHE HA PUNTATO TUTTO SULLA MARIJUANA E HA VINTO
La war on drugs, la politica inaugurata da Richard Nixon che considerava ogni stupefacente “nemico pubblico numero 1”, comincia a sgretolarsi la sera del 6 novembre 1989. L’America non lo sa: segue in tv l’elezione del primo governatore afro-americano, Douglas Wilder in Virginia, e del primo sindaco nero di New York, David Dinkins. La vera rivoluzione comincia però altrove, in Pennsylvania. Rob Kampia è un brillante studente d’Ingegneria, già nominato miglior alunno del suo liceo, che al college inanella una borsa di studio dietro l’altra. Quella sera, un agente perquisisce la sua stanza al campus, trova alcune piante di cannabis e lo porta in manette al Centre county prison, dove trascorrerà tre mesi.
Quell’arresto infrangerà il suo sogno: diventare astronauta della Nasa. Rob cerca subito un’alternativa, e la trova appena uscito di prigione: si candida alle elezioni universitarie con un programma incentrato sull’ammorbidimento delle regole universitarie sulle droghe leggere. Le stravince. Quando, un paio d’anni dopo, si laurea cum laudae, già non pensa più allo Shuttle. Il suo viaggio spaziale è un altro: prende un treno per Washington dove inizia a lavorare per Norml, la più importante associazione Usa che chiede una riforma delle leggi sulla cannabis.
Venticinque anni dopo, l’America ha votato per la seconda ondata di legalizzazioni, dopo che l’anno scorso già Colorado e Washington hanno detto sì ai coffee shop. In concomitanza con le elezioni di mid-term è toccato a Oregon e Alaska pronunciarsi sulla legalizzazione, mentre gli elettori di D.C. hanno votato per la depenalizzazione. Per i sondaggisti è una sfida sul filo di lama, ma tra i pro legalizzazione c’è ottimismo: Oregon e Alaska sono stati i primi Stati, già negli anni 70, a permettere l’uso personale dell’ ‘erba’. Ma non è solo un problema di tradizione: quel che conta sono i soldi, e le associazioni pro-legalizzazione ne hanno raccolti tanti più degli oppositori. Il rapporto è di 25 a 1 in Oregon e di 9 a 1 in Alaska. E, se in Oregon i pro-sì sono avanti soprattutto grazie ai fondi della Drug policy alliance finanziata da George Soros, in Alaska a guidare il movimento è l’Mpp, il Marijuana policy project fondato da Kampia.
LA SUA ESPERIENZA a Norml infatti dura poco e si conclude malissimo: troppi i contrasti con il direttore Richard Cowan. È un problema di strategia: Norml punta a sensibilizzazione l’opinione pubblica, Kampia vuole cambiare le leggi e per farlo punta dritto a Capitol Hill, la sede del Congresso. Insieme all’amico Chuck Thomas fonda Mpp. Il primo ufficio è la camera da letto di Rob, ma l’idea è giusta: bisogna creare una rete di lobbisti. La svolta arriva verso la metà degli anni ’90: invece di scommettere sulla legalizzazione, si punta a permettere l’uso di marijuana per scopi terapeutici. In quel periodo Rob smette di fumare perché le canne peggiorano i suoi problemi di ansia e depressione (anche se, al Fatto Quotidiano, ammette che oggi fuma «un paio di bong a settimana, guardando le serie tv»). Compensano gli altri vizi, uno su tutti: la passione per le ventenni che, nel 2008, convincerà sette impiegate a lasciare Mpp e lo costringerà a prendersi tre mesi di aspettativa. «Devo curare i miei problemi con il sesso», ammetterà. Ma è solo un incidente di percorso: gli Stati approvano, uno dopo l’altro, leggi più tolleranti. La ganja non è più un tabù.
Quella per la legalizzazione ha smesso di essere una lotta “di sinistra”. A confermarlo ci sono le simpatie politiche di Kampia, che vorrebbe vedere alla Casa bianca uno tra Ron Paul e l’ex governatore del New Mexico, Gary Johnson, due libertari con un passato tra nelle file repubblicane molto popolari tra i Tea party. Ma, soprattutto, smette di essere un tema da hippy. A Washington sempre più persone capiscono che il mercato da 2,5 miliardi l’anno che l’erba muove può essere regolato, e usato per fare profitti. C’è chi, come l’ex deputato democratico Bill Delahunt, ha chiesto tre licenze per produrre e distribuire marijuana terapeutica, e chi, come Michael Correia, dopo avere speso 16 anni a servire i repubblicani al Congresso, si è reinventato lobbista per la camera di commercio dei produttori di cannabis. È la nuova rivoluzione verde: il colore della marijuana. E quello dei dollari.
Alessio Schiesari, il Fatto Quotidiano 5/11/2014