Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

MATTEO SALVINI HA PRESENTATO IL SUO MANIFESTO POLITICO: ANDARE OLTRE LA LEGA E COSTRUIRE UNA DESTRA LEPENISTA ALTERNATIVA A SILVIO BERLUSCONI. IL PROGRAMMA, IN SINTESI, È DI QUATTRO PUNTI, 1) NO ALLE MOSCHEE 2) NO ALL’IMMIGRAZIONE 3) DRASTICO TAGLIO DELLE TASSE 4) NO A QUESTA EUROPA DI SINISTRA

In un’ampia intervista pubblicata ieri da Libero, Matteo Salvini ha particolareggiato un programma politico i cui contorni erano intuiti da tempo: andare oltre la Lega e costruire una destra lepenista alternativa a Silvio Berlusconi.
Il programma – detto in sintesi come succede nelle interviste – è di quattro punti, 1) no alle moschee 2) no all’immigrazione 3) drastico taglio delle tasse 4) no a questa Europa di sinistra. Che l’idea non sia sciocca lo dimostrano le reazioni arrivate ieri da Forza Italia, si direbbe preregistrate e certamente collettive, prime voci Mariastella Gelmini («Berlusconi è un leader da cui non si prescinde»), Paolo Romani («senza Berlusconi il centrodestra diventa il sindacato giallo del governo»), Sandra Savino («senza Berlusconi, Salvini non esisterebbe»), Deborah Bergamini («in Italia senza Berlusconi non esisterebbe il centrodestra»). Quello che sfugge a tutti, ed evidentemente alla Bergamini, è che il segretario della Lega è disinteressato a un centrodestra e tanto più se c’è dentro Berlusconi, che definisce un signore impegnato a rimettere in piedi Forza Italia, roba di vent’anni fa, e intorno «il mondo è cambiato».
Il professor Alessandro Campi, uno che quell’area l’ha frequentata (è docente di Storia delle dottrine politiche a Perugia e tentò l’impresa disperata di costruire una destra europea, come si usa dire, insieme con Gianfranco Fini), riconosce che la mossa di Salvini è quella di un capo impegnato a cambiare fronte, spostato dalla Roma ladrona alla Bruxelles della finanza: «E soprattutto sta abbandonando Forza Italia, e dunque la rivoluzione liberale», di cui la Lega non è stata paladina ma fiancheggiatrice, «per fare un’operazione sul quel che resta della vecchia nemica, Alleanza nazionale, di modo che nasca un soggetto di destra radicale». Tatticamente una soluzione quasi obbligata, viste le inapprezzabili differenze fra Berlusconi e Matteo Renzi. Si apre un varco a destra ma purtroppo Giorgia Meloni, segretario di Fratelli d’Italia, lo sta valutando e ieri non era ancora giunta a una conclusione: per ora non si pronuncia. Eppure Salvini l’aveva tirata in ballo come componente gradita, se ci stesse, del nuovo soggetto politico: non un partito, nemmeno una coalizione, che sarà lo vedremo, e però benedetto da Umberto Bossi: «Sarà la Lega dei popoli».
Ecco, anche questo è un punto vero: l’eterna frontiera della Lega è il Sud, dove prevale un sentimento di diffidenza verso i barbari-razzisti del Nord. Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing, spiega che i sondaggi sono davvero ottimi, danno la Lega al nove per cento, quando il record è del dieci e mezzo in un centrodestra vincente, e non guasto come quello attuale; e però «gli elettori sono ancora tutti a settentrione, dove la Lega tocca punte del trenta per cento, mentre non abbiamo segnali di incremento al Sud». Nel frattempo, però, Salvini cerca di stabilire almeno un contatto ideale e geografico, per esempio con Pietrangelo Buttafuoco, catanese, uomo solidamente di destra e che non si tira indietro: «Salvini ha un’idea così politicamente scorretta da assecondare me nella battaglia contro l’autonomia siciliana di Buttanissima Sicilia (il penultimo e fortunato libro di Buttafuoco, ndr)». Inoltre, aggiunge Pietrangelo, «l’unica opposizione a Renzi, premier illusionista, è la realtà». E uno dei pochi capaci di interpretarla, dice, è proprio Salvini. Il quale, intanto che si propone di radere al suolo le moschee, chiede una mano, oltre che a Buttafuoco, anche a Massimo Fini ed è piuttosto curioso dal momento che i due non sono propriamente iscrivibili nei sostenitori della civiltà occidentale: Fini fra l’altro ha scritto una biografia del Mullah Omar di aperta simpatia (sebbene consideri l’islam una «religione cupa»).
Insomma, un po’ di confusione c’è – Buttafuoco si dice sicuro, sorridendo, che il caso di Salvini è il classico di chi «predica male e razzola bene» -, un po’ di indecisione pure, e un po’ di vaghezza cronica, che è la malattia incurabile del centrodestra italiano. C’è tutto questo e tuttavia, come si è visto, c’è anche lo spazio. Non si considera soltanto l’inedia berlusconiana e, spesso, degli ex An, ma anche i colpi che sta perdendo Beppe Grillo, soprattutto sul versante antieuropeista lungo il quale Salvini si muove con Marie Le Pen (certo, con battaglie surreali tipo l’idea di sospendere Schengen per resistere all’epidemia di Ebola). Noto conserva qualche dubbio: «La Lega potrebbe prendere voti a Grillo perché il Movimento ha un elettorato molto trasversale, ma il vero problema di Salvini è che un conto è l’apprezzamento riscosso da leader nordista, altro l’apprezzamento riscuotibile da leader di destra. Badate che gli elettori della Lega non necessariamente si sentono di destra, per esempio sono razzisti a loro insaputa, e cioè razzisti 2.0, non più per questioni di razza ma territoriali. Un Salvini che si mettesse coi fascisti di Casa Pound non necessariamente crescerebbe: perderebbe qualcosa da una parte, guadagnerebbe qualcosa dall’altra, e il saldo sarebbe un’incognita». Una buona riflessione e appartiene anche a Campi, persuaso che nella migliore delle ipotesi Salvini costruirà una destra lepenista condannata «a essere una forza antagonista ma mai di governo». E in particolare, conclude un amareggiato Campi, una destra «lontana di molto dalla destra di cui altrove si sono dotati da decenni».
Mattia Feltri, La Stampa 5/11/2014