Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

SUPER UOMINI, COSÌ LA TECNOLOGIA CI PERMETTE DI RIPROGETTARE I NOSTRI CORPI

Due milioni di anni di innovazione hanno cambiato i nostri corpi, cervelli e comportamenti. Fino a far connettere due scimmie attraverso un microchip e fare in modo che i pensieri di uno influenzassero i movimenti dell’altro. Un traguardo ai limiti biologici, che non si fermerà qui: al passo con il tasso di innovazione continua, ciò che inventiamo continuerà a cambiare ciò che siamo. In che modo lo possiamo solo cominciare a immaginare.
Tra i pionieri di questa visione c’è Anthony Atala, direttore del Wake forest institute di Medicina rigenerativa del North Carolina, che lavora proprio sulla crescita e rigenerazione di tessuti e organi. Il suo team è quello che ha progettato il primo organo cresciuto in laboratorio, una vescica, poi impiantata in un essere umano. E ora sta sviluppando la tecnologia per “stampare” tessuto umano on demand con la stampante 3D e scaffold biodegradabili. Ma se la medicina rigenerativa offre il potenziale per trasformare il panorama medico e la vita dei pazienti – offrendo nuovi trattamenti per condizioni oggi incurabili – «la promessa finale non è solo quello di aiutare a gestire la malattia ma migliorare (o potenziare?, ndr) davvero la nostra vita» sostiene Atala.
Dai desiderata alla realtà. Già le Olimpiadi sono un’incredibile sinergia tra tecnologia e biologia. A parte la polemica sul fatto che nel 2012 Oscar Pistorius ha avuto un vantaggio grazie alle protesi in fibra di carbonio diventando il primo amputato bilaterale a competere in una gara di atletica leggera ai Giochi per normodotati, ci sono continui progressi incrementali che toccano le gare, come la riduzione della resistenza aerodinamica per i nuotatori o i velocisti. Qualsiasi evento in cui c’è un hardware (tiro con l’arco, ciclismo e così via) sta andando in una direzione che è sempre più pesantemente sbilanciata verso la tecnologia; allo stesso modo il miglioramento delle prestazioni umane saranno inevitabilmente eclissate dalla tecnologia, semplicemente perché è molto più facile far migliorare quest’ultima che non l’uomo. Chi ha beneficiato di più della tecnologia sono gli atleti delle Paralimpiadi. E qui la progressione è già tangibile: le protesi stanno passando dai sistemi passivi a quelli attivi, cioè in grado di rilevare l’intenzione dell’atleta tramite interfacce cerebrali. L’obiettivo è ora quello di fornire funzionalità simili a quelle di un arto umano. A questo punto però si trascende dalla biologia, e quindi serve un nuovo tipo di competizione. A cimentarsi con questa nuova realtà è la svizzera che ha deciso di ospitare l’8 ottobre 2016, a Zurigo, la prima edizione di Cybathlon, il campionato in cui partecipano atleti con disabilità che utilizzano dispositivi di assistenza avanzate. I tornei saranno composti da diverse discipline che applicano le più moderne protesi, esoscheletri, sedie a rotelle a motore, muscoli stimolati elettricamente e nuove interfacce cervello-computer.
I dispositivi di assistenza potranno essere sia i prodotti già disponibili in commercio oppure prototipi sviluppati dai laboratori di ricerca. Ci saranno due medaglie per ogni gara, uno per l’atleta, che utilizza il dispositivo, e una per il fornitore del dispositivo.
Un aspetto non trascurabile in questa tappa verso l’Homo evolutus riguarda quello etico. Quanto di un atleta è umano e quanto è robot, e se la bilancia pende verso la parte cybor, come cambieranno le cose?
«I trapianti d’organo, gli organi artificiali così come le protesi di tessuti e di arti sono una realtà clinica che è derivata dallo sviluppo della chirurgia e dalla capacità di progettare con nuovi materiali – racconta Riccardo Pietrabissa, presidente del Gruppo nazionale di bioingegneria e professorepresso Politecnico di Milano e Università di Brescia in occasione dell’incontro “L’ingegneria del corpo” a Padova –. In questo scenario si prospetta la capacità di progettare protesi e organi artificiali con proprietà e funzioni superiori a quelle dei tessuti o degli organi che sostituiscono. Ci dobbiamo domandare se ciò che possiamo fare con il progresso tecnologico è sempre eticamente accettabile e quali siano i limiti. I temi che si aprono sono nuovi e riguardano la distinzione tra naturale e artificiale, quella tra funzione ripristinata e aumentata, quella tra dispositivi costituiti anche da cellule e quelli totalmente sintetici. Nel nostro futuro prossimo forse saremo capaci di riprogettare in parte il corpo umano, ma sarà davvero desiderabile e consentito?».
fr.ce., Nòva – Il Sole 24 Ore 5/11/2014