Federico Rampini, la Repubblica 5/11/2014, 5 novembre 2014
DOVE PORTERANNO L’AMERICA E IL MONDO, QUESTI REPUBBLICANI? CON BARACK OBAMA PIÙ DEBOLE CHE MAI, IL FUTURO DELLA DESTRA USA RIVESTE UN’IMPORTANZA CRESCENTE. SE DOPO LE LEGISLATIVE DI MIDTERM DOVESSERO AZZECCARE IL CANDIDATO VINCENTE PER LA CASA BIANCA NEL 2016, QUALI NE SARANNO LE CONSEGUENZE?
Dove porteranno l’America e il mondo, questi repubblicani? Con Barack Obama più debole che mai, il futuro della destra Usa riveste un’importanza crescente. Se dopo le legislative di midterm dovessero azzeccare il candidato vincente per la Casa Bianca nel 2016, quali ne saranno le conseguenze?
Il modo più concreto per anticipare che tipo di America vogliono i repubblicani, è guardare la loro azione al Congresso negli ultimi anni. Avendo alle spalle già quattro anni di maggioranza alla Camera (vinsero le midterm del novembre 2010), hanno avuto un ruolo forte, non soltanto da opposizione di sua maestà.
I loro cavalli di battaglia sono chiari. Sul piano fiscale: mai aumentare le tasse, guai a usarle come strumento per ridurre le diseguaglianze sociali. Il deficit di bilancio (che peraltro si è assottigliato a vista d’occhio, grazie alla crescita: dall’11% di deficit Pil al 2,6%) va risanato esclusivamente tagliando le spese. Dunque no a nuovi piani d’investimenti pubblici, che si tratti di rinnovamento delle infrastrutture o di fondi per la scuola. Sull’ambiente: stop con le penalizzazioni dell’industria americana in nome della lotta al cambiamento climatico, niente carbon tax, no agli ulteriori limiti sulle emissioni di gas serra. Via libera invece al fracking, la nuova tecnologia per l’estrazione di shale gas e petrolio nelle rocce: già parzialmente autorizzato da Obama, i repubblicani vogliono cavalcare il boom petrolifero che sta dando all’America l’autosufficienza energetica (anche se l’aumento dell’estrazione ha contribuito al crollo del prezzo del greggio mettendo in difficoltà le stesse compagnie petrolifere che finanziano la destra).
Un dossier chiave è l’immigrazione. La destra ha accusato Obama di voler introdurre una strisciante amnistia per i clandestini, o almeno per alcune categorie di giovani immigrati senza regolare permesso di soggiorno. I repubblicani promettono pugno duro, aumento delle deportazioni. Ci sono altri obiettivi più estremi. Gran parte del partito, soprattutto quegli eletti che nelle primarie hanno avuto i consensi del Tea Party, si sono solennemente impegnati ad abrogare la riforma sanitaria di Obama. Non sarà facile superare il veto del presidente. Inoltre disfare una riforma come quella avrebbe conseguenze incalcolabili, a cominciare dalla perdita di assistenza medica per qualche decina di milioni di cittadini. Non mancano le correnti più legate alla destra religiosa che promettono di rendere illegali non solo i matrimoni gay ma anche le interruzioni di gravidanza. Alcuni di questi temi valoriali, tuttavia, sono di competenza dei singoli Stati Usa e non del Congresso.
In politica estera, le voci dei falchi repubblicani hanno ripetutamente accusato di debolezza Obama: in Ucraina di fronte a Vladimir Putin, in Siria e Iraq di fronte ai jihadisti, in Iran sul dossier nucleare. Nei ranghi della destra c’è stata una spettacolare rivalutazione dei “neoconservatori”, tutta l’armata di George W. Bush è stata rilanciata dalla Fox News e dal Wall Street Journal (proprietà di Rupert Murdoch): da Dick Cheney e Donald Rumsfeld, a John Bolton e Bill Kristol. Se ne può dedurre che la destra spingerà per un intervento armato in piena regola, sul territorio conteso dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria? Bisogna tener conto però che la maggioranza dell’opinione pubblica non vuole un’altra guerra. E in seno al partito repubblicano ci sono correnti isolazioniste, ben rappresentate da Rand Paul che predica un disimpegno americano dalle crisi internazionali.
Il pericolo più insidioso per i repubblicani è di sopravvalutare questo test elettorale. Non bisogna dimenticare che alle elezioni di midterm e alle presidenziali votano due Americhe molto diverse fra loro. Le legislative non mobilitano, la posta in gioco non è così netta e appassionante come la scelta di un presidente. La partecipazione alle urne cala soprattutto fra quelle categorie che hanno portato due volte alla vittoria Barack Obama: i giovani, gli afroamericani, gli ispanici. Invece vanno a votare compatti i seguaci del Tea Party, soprattutto i bianchi anziani; le “pantere grigie” che formano lo zoccolo duro della destra hanno sempre mostrato una formidabile disciplina elettorale. In questa dinamica c’è un rischio implicito per i repubblicani. Spostandosi sempre più a destra possono inimicarsi ulteriormente quelle categorie che saranno decisive per conquistare la Casa Bianca nel 2016. La demografia conta. Gli Stati Uniti hanno una popolazione giovane e in aumento – se paragonata con l’Europa – grazie soprattutto agli immigrati. Tutto ciò che Obama ha detto e fatto sull’immigrazione, ha consolidato la sua “coalizione etnica”. Per questo la vera battaglia per l’egemonia dentro il partito repubblicano comincia ora, e forse deve prescindere dal risultato elettorale. Questa destra ha gestito le elezioni di midterm senza un leader e senza una piattaforma chiara. Il leader teorico, secondo la tradizione americana, sarebbe l’ultimo candidato presidenziale e cioè Mitt Romney. Una corrente repubblicana lo vorrebbe ricandidare nel 2016, e lui è riapparso in molti comizi a fianco di candidati locali. Ma su Romney si è incollata l’immagine dell’opportunista: moderato quando governava il Massachusetts, ultraconservatore durante le primarie del 2012, ha seminato diffidenza anche nella sua base. Rand Paul piace ai giovani, spinge per un ritorno alla purezza antica, vuole una destra isolazionista, libertaria in modo maniacale: lui ebbe comprensione per Edward Snowden contro il Grande Fratello dello spionaggio digitale. Il complesso militar-industriale lo odia, ovviamente. La vera chance per i rapubblicani è… Ronald Reagan. Per ritrovare la capacità di vincere la Casa Bianca, occorre studiare quello che fu l’ultimo grande leader della destra. Più pragmatico di quanto lo si ricordi, capace di aumentare spesa pubblica e tasse quando necessario. Meno falco in politica estera della sua iconografia: ritirò i marines da Beirut dopo una strage. I candidati per riportare in quell’alveo il partito repubblicano non mancano, da Jeb Bush a Chris Christie. Fondamentale è stabilire un dialogo con le minoranze etniche. Ma contro questi candidati moderati la minaccia peggiore può venire proprio dai loro compagni di partito al Congresso. Se nei prossimi due anni il Congresso saprà solo dire no alle iniziative di Obama, farà ostruzionismo fino alla paralisi, la rimonta democratica ha buone possibilità di successo.
Federico Rampini, la Repubblica 5/11/2014