Celestina Dominelli, Il Sole 24 Ore 5/11/2014, 5 novembre 2014
ENI FRENA SUL GASDOTTO SOUTH STREAM. DESCALZI: «O SI MANTIENE L’IMPEGNO DI BUDGET PER 600 MILIONI O VALUTIAMO L’USCITA»
L’Eni continuerà a impegnarsi nel South Stream – il gasdotto che dovrebbe portare il gas russo fino all’Europa centrale via Balcani, passando sotto il Mar Nero e aggirando l’Ucraina -, solo se l’investimento resterà quello messo a budget (600 milioni di euro) e, se non fosse possibile, «abbiamo l’opportunità contrattuale di uscire e la valuteremo». Davanti alla commissione Industria del Senato, il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, ha chiarito ieri le intenzioni sulla nuova pipeline di cui il gruppo detiene il 20 per cento. «Il progetto ha una sua valenza, un suo valore, doveva essere finanziato al 70% con project financing, 70% a debito e 30% equity e la nostra esposizione era fissata in 600 milioni». Ora, però, complice anche la tensione tra Russia e Ucraina, «i soci (con Eni ci sono Gazprom al 50%, Edf e Wintershall con il 15% ciascuno, ndr) stanno facendo fatica a trovare finanziamenti». Se dunque la copertura fosse tutta a equity, «Eni, mai e poi mai, potrebbe con l’attuale situazione mettere 2,4 miliardi sul progetto».
Insomma, la rotta è molto chiara. Anche perché lo scenario competitivo in cui si muove il gruppo è cambiato. La concorrenza degli Usa è sempre più agguerrita, mentre l’Europa arranca anche per via del calo della domanda di idrocarburi. Per non dire dell’impatto, valutato in 3 milioni di barili persi al giorno dall’intero comparto, collegato «ai disordini che ci sono nei vari paesi». L’Eni, ha ribadito Descalzi, ha quindi dovuto mettere mano a un riassetto dell’organizzazione e della sua strategia, sempre più focalizzata sull’esplorazione e produzione, l’unico business che, dal 2009 al 2013, è rimasto in utile, mentre il gas, la raffinazione e la chimica hanno perso 10 miliardi di risultato operativo (6 miliardi solo nella raffinazione). «Bisogna avere cassa più robusta ed essere più efficienti», ha rimarcato più volte l’ad. Che è poi tornato anche sulla cessione di Saipem non prima di aver chiarito che «entro fine anno puntiamo a ridurre leggermente il debito sotto i 15 miliardi». «Non posso dire molto di più di quello che ho detto a fine luglio. Su Saipem abbiamo iniziato un processo di vendita, non vogliamo fare uno spezzatino o vendere a casaccio. Il board ha dato un mandato a un advisor, non appena ci saranno novità le comunicheremo». Quanto, invece, alla possibilità di cedere un ulteriore pacchetto del 10-15% del mega-giacimento Mamba in Mozambico, dopo la vendita del 20% a Cnpc, Descalzi ha detto che «è un tema ancora vivo, ma non abbiamo urgenza immediata. Abbiamo la possibilità di scegliere, non dico che c’è la coda, ma sceglieremo l’opportunità migliore».
Ad ogni modo, il baricentro dell’Eni sarà sempre più imperniato sull’upstream che ha assicurato un solido ritorno («tra il 2008 e il 2013 abbiamo scoperto 9,5 miliardi di barili, 2,5 volte la nostra produzione», ha ricordato Descalzi) e, da qui al 2017, «abbiamo progetti che daranno 500mila barili al giorno di produzione aggiuntiva e su questi progetti stiamo investendo nel quadriennio circa 40 miliardi», ha aggiunto l’ad. Mentre sul futuro della raffinazione, il top manager è stato chiaro: «Ci siamo dati dei paletti: non vogliamo lasciare il territorio, non vogliamo impattare l’occupazione né ridurre il nostro personale e, nel caso della Sicilia, non vogliamo impattare sull’indotto».
Celestina Dominelli, Il Sole 24 Ore 5/11/2014