Nicole Friedman, MilanoFinanza 5/11/2014, 5 novembre 2014
SILURO ARABO CONTRO LO SHALE USA
I prezzi del petrolio sono crollati ai minimi da tre anni, con il Wti che ha chiuso ieri a 77,1 dollari al barile, a seguito dell’inaspettato taglio dei prezzi del greggio venduto agli Usa da parte dell’Arabia Saudita, che ha aperto la strada a ulteriori cali e aumentato la pressione sui produttori Usa di energia. La decisione del più grande esportatore di petrolio al mondo ha mandato il Dow Jones Industrial in territorio negativo a causa delle preoccupazioni sulla crescita globale. La mossa ha amplificato i timori sulla capacità di recupero del settore petrolifero negli Usa, cresciuto parecchio negli ultimi anni. Ma quella crescita, spinta dalla nuova tecnologia di produzione impiegata per estrarre il petrolio dalle formazioni di roccia scistosa, non era ancora stata messa alla prova da una prolungata caduta dei prezzi. Un greggio meno caro in genere aiuta i consumatori, riducendo l’esborso per i carburanti, ma per gli analisti la caduta del prezzo dell’energia stritolerà i margini di profitto di molte società energetiche Usa, in particolare le più piccole o quelle molto indebitate.
Nel frattempo, l’Arabia Saudita ha alzato i prezzi del petrolio venduto in altre zone, inclusa l’Asia, dove li aveva tagliati per quattro mesi consecutivi. Gli osservatori prevedevano che i sauditi tagliassero i prezzi in tutte le regioni principali, suggerendo l’intenzione di competere per i clienti, o che invece aumentassero i prezzi in tutto il mondo.
Negli ultimi mesi l’Asia è stato un mercato molto competitivo per gli esportatori, pertanto il focalizzarsi sul mantenimento della quota di mercato negli Usa è stata una mossa inattesa dai trader, alcuni dei quali l’hanno interpretata come un attacco alla produzione americana di petrolio da scisto, piuttosto che una mossa dettata dall’andamento di domanda e offerta.
Al riguardo, Anthony Lerner, dirigente della società di brokeraggio R.J. O’Brien & Associates, che segue le materie prime industriali, ha commentato: «Il mercato ha reagito molto negativamente, pensando: ci risiamo, un’altra guerra dei prezzi negli Usa». Un esperto del settore ha detto che non si tratta di andare a minare la produzione dello shale, obiettivo che gli analisti hanno spesso sospettato come il vero motivo delle recenti riduzioni di prezzo da parte dei sauditi. Invece l’esperto ha spiegato che la politica delle basse tariffe aiuta i raffinatori americani, comprando più greggio saudita, a migliorare i margini. «Mantenere la quota di mercato sta diventando una faccenda complessa per i Sauditi», ha aggiunto un altro esperto del settore.
Amplificando l’ansia degli investitori, il calo dei prezzi del petrolio rende più difficile ai politici negli Usa, in Giappone e in Europa aumentare l’inflazione, oggi a livelli tropo bassi. Dalla crisi finanziaria l’inflazione è generalmente stata inferiore agli obiettivi fissati dalle banche centrali. I funzionari della Bce e della Bank of Japan nei mesi passati hanno messo in atto piani d’azione volti a espandere l’offerta di moneta nel tentativo di evitare la deflazione. Allo stesso tempo, la Federal Reserve ha terminato gli stimoli mensili, che hanno avuto gran parte del merito dei guadagni dei mercati finanziari. «Prezzi più deboli di petrolio e materie prime portano alla deflazione», ha aggiunto Viren Chandrasoma, managing director di Credit Suisse che segue l’azionario.
L’import di greggio saudita negli Usa quest’anno è crollato. Stando alla Energy Information Administration americana, ad agosto hanno pesato per il 4,6% sul consumo totale negli Usa rispetto al 7% dello stesso mese del 2013. Per un esperto del settore, la Saudi Arabia Oil, di proprietà statale, aveva adottato la stessa strategia nel 2011, alzando i prezzi in Asia e tagliandoli negli Usa. Oggi il regno saudita sta approfittando dell’assenza delle esportazioni libiche, che ha sostenuto i prezzi in Europa e in Asia più che negli Usa.
La Whiting Petroleum, la maggiore società del Bakken Shale del Nord Dakota, ha dichiarato di non avere intenzione di ridurre la produzione. «Che sia eccesso di offerta o minaccia politica, ci siamo già passati», ha affermato Jack Ekstrom, vicepresidente della Whiting. La maggior parte degli analisti si aspetta che la produzione di petrolio Usa continui a crescere, a meno che i prezzi non scendano sotto i 70 dollari al barile. Solo i produttori che operano in aree costose o sono molto indebitati sembrano più inclini a rivedere gli investimenti.
Il calo dei prezzi del greggio è stato al centro delle turbolenze del mercato lo scorso mese, tanto che a un certo punto ha fatto perdere oltre il 5% all’indice Dow Jones prima di rimbalzare. Alcuni investitori sostengono che, a conti fatti, la discesa dei prezzi del petrolio è una buona cosa. «È un fenomeno utile all’economia», ha affermato Rex Macey, di Wilmington Trust Investment Advisors, che gestisce circa 20 miliardi di dollari.
D’altra parte i sauditi non sono sempre stati in grado di stabilire i prezzi sul mercato. Negli anni Ottanta, il regno ha dovuto affrontare la competizione della produzione Usa e di quella del Mare del Nord del Regno Unito, che ha attirato nuovi investimenti grazie ai più elevati prezzi del petrolio. L’Arabia Saudita inizialmente ha cercato di rialzare i prezzi tagliando la produzione, ma è stata battuta dai concorrenti mediorientali. Quindi ha deciso di ammorbidire i termini di vendita, una mossa equivalente a un taglio dei prezzi. Ma anche questa strategia ha fallito perché americani e britannici sono stati in grado di ridurre i costi.
Attualmente, i funzionari sauditi sembrano in difficoltà su come rispondere ai cali dei prezzi, in particolare perché il regno ha dovuto aumentare la spesa pubblica dopo le sollevazioni della primavera araba. Alcuni degli alti dignitari del regno ritengono che al Paese occorra un prezzo intorno ai 90 dollari al barile per arrivare al pareggio di bilancio, e che i funzionari sauditi dovrebbero accettare la caduta dei prezzi del petrolio e concentrarsi sull’aumento della quota di mercato, particolarmente in Asia.
Il ministro del petrolio saudita Ali al-Naimi ha preferito fare da spettatore, trascorrendo gran parte del mese di ottobre in vacanza. Stando ad alcune indiscrezioni, all’inizio di ottobre la delegazione saudita presso l’Opec, in occasione di una conferenza a New York, ha riferito in privato che il regno non era allarmato dal calo dei prezzi e non avrebbe unilateralmente proceduto a tagliare la produzione. Intanto, il principe al-Waleed bin Talal, che è un membro della famiglia reale, ha pubblicamente criticato l’approccio di Naimi alla discesa dei prezzi, ammonendo che non dovrebbe permettere che le riserve di liquidità del Paese si esauriscano.
traduzione di Giorgia Crespi
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Nicole Friedman, MilanoFinanza 5/11/2014