Sergio Romano, Corriere della Sera 5/11/2014, 5 novembre 2014
CONSIDERAZIONI A MARGINE DELLA NOMINA DI GENTILONI AGLI ESTERI E DELLA DIVISIONE TRA NAPOLITANO E RENZI. PUÒ IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, SECONDO LA COSTITUZIONE, RIFIUTARSI DI NOMINARE IL CANDIDATO, PROPOSTO DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO?
Da quanto si legge, sembra che il presidente della Repubblica non fosse d’accordo sul/sui nominativi presentati dal presidente del Consiglio, per il ruolo di ministro degli Esteri, ruolo lasciato libero dall’onorevole Mogherini, passata all’incarico prestigioso alla Ue. Alla fine, è stato scelto l’onorevole Gentiloni, che avrebbe le caratteristiche richieste da Napolitano. Può il presidente della Repubblica, secondo la Costituzione, rifiutarsi di nominare il/la candidato, proposto dal presidente del Consiglio?
Attilio Lucchini
Caro Lucchini,
La Costituzione è molto meno esplicita di quanto molti pensino. Se rileggerà l’art. 87, lei constaterà che il presidente, oltre a rappresentare l’unità nazionale, ha un lunga serie di attribuzioni fra cui il comando della Forze Armate, la presidenza del Consiglio supremo di difesa, la dichiarazione dello Stato di guerra deliberato dalle Camere, la ratifica dei trattati internazionali, la nomina dei senatori a vita e di alcuni membri della Corte costituzionale. Ciascuna di queste attribuzioni può essere interpretata in modo più o meno restrittivo, ma non vi è presidente, da Einaudi a Ciampi, che non abbia detto al Paese quale fosse la sua visione del mondo, dell’Unione Europea e della parte che l’Italia avrebbe dovuto avere nel contesto internazionale.
Esiste poi una regola non scritta che si applica a tutte le presidenze: grazie alla flessibilità della Costituzione, il potere del capo dello Stato è tanto maggiore quanto più la classe politica si dimostra incapace di esercitare le sue funzioni e di rispondere alle attese della società nazionale. Il caso di Napolitano, a questo proposito, è particolarmente esemplare. Nell’ultima fase del settennato il capo dello Stato ha detto più volte che non aspirava a un secondo mandato e ha aggiunto di essere convinto che la non rielezione «fosse l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di presidente della Repubblica». Certamente lei non ha dimenticato, caro Lucchini, che cosa accadde dopo le elezioni del 2013 e la fine del mandato presidenziale. Napolitano fu pregato di tornare al Quirinale per mettere fine a uno dei più imbarazzanti momenti vissuti dal Parlamento repubblicano. Acconsentì, ma non esitò a porre delle condizioni. Dopo avere rimbrottato le Camere per la mancata approvazione di una nuova legge elettorale, ricordò che la paralisi del processo riformatore era stata provocata da «esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi, strumentalismi». Avrebbe accettato di rimanere al Quirinale, almeno per un certo periodo, ma aggiunse: «Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo di fronte a sordità come quelle contro cui ho cozzato in passato, non esiterò a trarne conseguenze di fronte al Paese».
Aggiungo che Matteo Renzi deve la presidenza del Consiglio alla nomina del capo dello Stato, non ha la maggioranza al Senato, è contestato da parecchi compagni di partito, ha bisogno del presidente della Repubblica. Preferirei che la Costituzione italiana fosse meno ambigua e che il nostro sistema costituzionale facesse una chiara scelta fra premierato britannico e presidenzialismo francese. Ma se questo non è ancora accaduto, la colpa non è di Giorgio Napolitano.