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 2014  novembre 01 Sabato calendario

E POI CI VUOLE UN PO’ DI “CAZZIMMA”


Sa quello che rischia se, facendo gol alla Juve, non dovesse esultare?
(sorriso, sguardo concentrato su un punto invisibile del pavimento) «Sì, so perfettamente cosa rischio».
Dunque?
«Dunque vediamo. Prima facciamolo, il gol alla Juve, poi decidiamo il resto».

Diplomatico, e non potrebbe essere altrimenti. Perché, se è vero che un gol nel derby di fine novembre aggiungerebbe di diritto la sua immaginetta tra i santini idolatrati dai tifosi del Toro, è altrettanto vero che, quando fa gol a una sua ex, un atroce dilemma arrovella Fabio Quagliarella, 31 anni, attaccante del Torino, nel giro di un mese 4 gol di fila in campionato, dalla 4ª alla 7ª giornata, più uno in Europa League: esulto o non esulto? E la tentazione di tener basse le braccia e chiusa la bocca si riproporrebbe persino di fronte alla Juventus, per mettere in ginocchio la quale qualsiasi altro dei suoi compagni pagherebbe di tasca propria.
Ma quando la stoccata vincente colpisce coloro che sono stati i tuoi compagni e i tifosi che fino a ieri ti hanno applaudito, entrano in gioco i sentimenti. E coi sentimenti non si scherza, specie se in fondo all’anima sei – e questo è il caso –nu’ buono guaglione. Insomma: “Quaglia” ha già fatto gol a Napoli e Udinese, dove ha giocato, e, in entrambi i casi, invece di sbracciarsi per la gioia è rimasto fermo come se la cosa non lo riguardasse.
Su SportWeek, Luigi Garlando ha scritto che istituirebbe il cartellino grigio per punire chi non esulta dopo un gol alla ex squadra. A lei andrebbe bene essere ammonito per questo?
«Invece di chiedere al giocatore perché non esulta, provate piuttosto a fare un sondaggio tra i tifosi della squadra in cui ha giocato per sapere se sono contenti di questo suo comportamento. Io ho sempre avuto riscontri positivi. I tifosi di Napoli e Udinese, e in passato quelli della Samp, incontrandomi mi hanno detto: “Ti rispettiamo per quello che hai fatto. Così resti nei nostri cuori”. Per me è tutto qui: una questione di rispetto».
Ma il rispetto nei confronti dei nuovi tifosi e del club che la paga?
«Ai tifosi importa innanzi tutto che io faccia gol. Sarebbe il massimo se succedesse al derby: è da troppo tempo che il Toro non segna e non ne vince uno».
Solo in Italia però è così diffusa questa moda: siete voi calciatori a essere troppo sensibili, o il nostro calcio è a tal punto avvelenato da impedirvi di esprimere i vostri sentimenti?
«Ma non per tutti è così. Ibrahimovic, per esempio, anche in Italia esultava quando segnava alle sue ex. Ci sta. Però Lampard ha fatto gol al Chelsea con la maglia del Manchester City e ha fatto come me».
Il gol che l’ha resa più felice?
«Tanti: la doppietta all’esordio col Napoli, la squadra della mia città... Il primo col Torino sotto alla curva Maratona, il primo con la Samp, il primo in Champions League... I due all’esordio in Nazionale in Lituania... Ma sia chiaro: sono felice anche quando segno a una squadra nella quale ho giocato».
Allora, perché non ci siano dubbi, qual è la sua ricetta della felicità?
«Prima di tutto, l’equilibrio, in dosi molto abbondanti: se le cose ti vanno bene, nella vita e nel calcio, non devi sentirti dio in terra; ma neanche, se ti gira male, l’ultimo uomo sulla terra. Poi, una famiglia che ti dia serenità: so che i miei genitori sono i soli che non me lo metteranno mai in quel posto. Ancora, cercare di pensare positivo: mia madre mi ripete sempre di sentire musica e cantare, quando sono giù. Infine, un po’ di cazzimma. Cos’è? Non te lo voglio dire. Ches’t è ’a cazzimma».
È questa ricetta, che le ha consentito di restare a galla nei momenti peggiori? Per le sue doti lei è uno che ha raccolto meno di quanto ci si aspettasse. Colpa sua o degli altri?
«Cinquanta e cinquanta. Potevo fare molto di più, ma è vero anche che non sono stato fortunato nei momenti cruciali. È l’allenatore che determina la carriera di un giocatore: se senti la sua fiducia, ti riescono cose che altrimenti non faresti. A Chieti – in C –, alla Samp, ho avuto tecnici che stravedevano per me e ho fatto il salto di qualità. In altri momenti, proprio quando credevo di meritarla, questa fiducia è venuta un po’ a mancare».
Chiamarsi Quagliarella fa meno effetto di un bel cognome brasiliano?
«A Castellammare di Stabia, dove sono nato, c’è un detto: San Catello (il patrono della città; ndr) è amante dei forestieri. In Serie A gli stranieri vanno benissimo se portano qualità, ma tanti non servono a niente. In C gioca gente molto più forte. Lo sanno tutti, ma nessuno fa niente».
A proposito delle origini campane: pentito di aver giocato nel Napoli?
«Ma no. Certo è che quando porti quella maglia e sei nato a pochi chilometri da lì, non sei un giocatore, sei “il” giocatore. E se le cose vanno male, il primo capro espiatorio. Ma anche la maglia del Toro, dove ho fatto il settore giovanile e sono diventato uomo e giocatore, è bella pesante. Ho vissuto la delusione del fallimento, sono tornato dopo anni e sono stato pagato tanto. Amo questa maglia».
Torniamo alla felicità. Il momento più felice da bambino?
«Non per un regalo, ma per una frase. Quella che mi disse mio padre quando partii per Torino: “Ricordati che in qualunque momento vuoi andare via, io prendo il treno e ti riporto giù”. Voleva dire che per lui restavo importante anche se non avessi fatto il calciatore».
Più felice a Natale o al compleanno?
«A Natale. Il compleanno mi fa sentire più vecchio e al centro dell’attenzione, cosa che odio».
Più felice davanti al risotto coi funghi di mamma o con gli amichetti a giocare a pallone nel cortile di casa?
«Il risotto mamma me lo fa sempre quando viene a trovarmi. Le partite in cortile... Me le ricordo tutte. Ero il primo a scendere e a citofonare a tutti gli altri. E ricordo le mazzate di papà per il casino che facevamo».
Più felice a scuola o al catechismo?
«Meglio il catechismo».
Più felice al primo appuntamento o alla prima bella macchina comprata?
«Al primo appuntamento. Ma n’un m’o ricordo manco»...
Per essere felice, meglio un solo gol in rovesciata o 10 gol brutti?
«Uno in rovesciata. Decisivo, però».
Meglio entrare sempre dalla panchina e segnare reti decisive o giocare titolare ma essere uno dei tanti?
«Bella domanda... Se la metti così, preferisco entrare dalla panchina ed essere decisivo».
Meglio la partita della domenica o il riposo del lunedì?
«Il riposo del lunedì se ho vinto alla domenica».
Meglio una coppa col Toro o la maglia della Nazionale?
«Alzando la coppa col Toro matematicamente vado in Nazionale».
Felicità è tornare a casa e non trovare nessuna che dica: torna giù e vammi a prendere il latte?
(ride) «Infatti quando torno a casa io sono serenissimo... Quando sento i miei compagni dire: “Mo’ vado a casa, e i bambini, e di qua, e di là”, penso che io invece torno, mi sdraio sul divano e accendo la tele».
Felicità è cantare col Liga, andare in moto con Vale o palleggiare con Maradona, i suoi idoli?
«Mamma... Facciamo così: canto il Liga mentre sono in moto dietro a Vale – mi vengono i brividi al solo pensiero –, a un certo punto incrocio Diego, smonto, faccio due palleggi e torno sulla moto».
Finiamo alla Marzullo: rende più felici un piccolo sogno realizzato o l’ambizione di soddisfare tanti grandi desideri?
«Più l’ambizione di soddisfare tanti desideri. Ma una volta che ci sei riuscito, che fai? Ti vai a curcà? (vai a dormire?)».

P.S. Siccome Quagliarella non ce l’ha voluto dire, siamo andati sul sito dell’Accademia della Crusca a vedere che cosa significa “cazzimma”: è un’espressione napoletana traducibile con “furbizia opportunistica”.

ORA CHE CI PENSO...
Fabio Quagliarella, 31 anni, attaccante del Torino. Ha esordito in A il 14 maggio 2000 in Torino-Piacenza 2-1. Ha giocato anche con Fiorentia Viola, Chieti, Ascoli, Samp, Udinese, Napoli e Juventus. In Serie A ha disputato 272 partite e segnato 79 gol.