Paolo Isotta, Corriere della Sera 5/11/2014, 5 novembre 2014
IL PIANO DI LIBETTA È DEGNO DEI GRANDI
Qualche giorno fa ho parlato del grande pianista Evgenij Kissin: ma noi italiani, come i lettori ricorderanno per averne io parlato più volte, il nostro Kissin lo abbiamo e anche il nostro Zimmermann. Si tratta di Francesco Libetta, leccese quarantacinquenne il quale, rispetto a questi due mostri sacri, ha il pregio d’esser latinista e grecista, d’aver studiato la Composizione, d’esser anche direttore d’orchestra, scrittore e cultore di Gino Marinuzzi sul quale ci darà il libro definitivo. Egli ha tenuto un concerto nella Cappella Palatina della Reggia di Caserta; e per me riascoltarlo è ogni volta essere avvinto dal fascino promanante dalla sua bravura e musicalità. Dopo le Variazioni di Beethoven su Nel cor più non mi sento di Paisiello, una Parafrasi di Liszt da Mercadante ha mostrato un fulmineo cambio di timbro pianistico; e di nuovo collo Chopin dello Scherzo in Do diesis minore. Il Mephisto-Walzer di Liszt ha mostrato un pianista del quale non sapresti se lodare più il virtuosismo (le sue doppie ottave non hanno confronto), la libertà o la profondità; mentre l’esecuzione della Sonata op. 109 di Beethoven ha mostrato un pianista che si tiene nell’esempio di Wilhelm Kempff e Claudio Arrau e che un giorno sarà prossimo alla loro grandezza.