Brittany Mayna, la Repubblica 4/11/2014, 4 novembre 2014
L’ADDIO DI BRITTANY: “HO SCELTO LA DIGNITÀ”
Se il 2 novembre sarò morta, la mia speranza è che la mia famiglia sia ancora fiera di me e delle scelte che ho fatto. Ma se il 2 di novembre io fossi ancora viva, già so che continueremo ad andare avanti come una famiglia grazie all’amore che ci lega. In quel caso, la decisione verrà posticipata. Certa gente mi critica perché non aspetto più a lungo; altri hanno deciso per conto loro cos’è meglio per me. Tutto questo mi addolora perché sono io quella che rischia: rischio ogni singolo giorno, ogni volta che mi sveglio al mattino. Lo faccio perché mi sento ancora abbastanza bene, perché riesco ancora a gioire, perché rido e scherzo con gli amici e la famiglia, e perciò non sembra ancora il momento giusto. Però, so che quel momento arriverà, infatti sento che sto peggiorando, di settimana in settimana. Esco ancora a passeggiare con mio marito, con la mia famiglia, con i cani, e sono proprio queste le cose che ultimamente mi fanno sentire meglio. Ma dal primo di gennaio, quando è stata fatta la diagnosi, le cose non fanno che peggiorare. È così che procedono le malattie terminali: si peggiora sempre di più. Allora cosa fai? Cominci a eliminare tutte le cose materiali, le sciocchezze a cui sembriamo essere così attaccati nella nostra società, e ti rendi conto che sono quelli i momenti che contano. La cosa peggiore che può capitarmi è di prolungare l’attesa troppo a lungo: nonostante io sia pronta alla sfida, ogni singola giornata, la malattia mi priva sempre più della mia autonomia: è la natura del mio tumore. Se vogliamo parlare degli aspetti più terrificanti... Ad esempio, ho avuto una brutta serie di crisi, circa una settimana fa. Me ne sono capitate due al giorno, un fatto insolito. A un certo punto stavo guardando il viso di mio marito e pensavo: è mio marito, lo so, ma non riesco più a pronunciare il suo nome. Per colpa di quella crisi sono andata in ospedale. Svegliarsi ogni giorno nel mio corpo è una sensazione strana, perché è così diverso da com’era appena un anno fa. Tanto per chiarire, negli ultimi tre mesi sono ingrassata di oltre dieci chili, solo per i farmaci che ho inghiottito. Non mi piace essere fotografata, non mi piace essere filmata e non mi piace starmene troppo tempo davanti allo specchio. Non è che io provi odio e ripugnanza verso me stessa: è solo che il mio corpo è cambiato tanto rapidamente, che quasi non mi riconosco. È una faccenda intima. Penso che a volte la gente mi guardi e pensi: non hai l’aria della malata, come dici di essere. Anche questo mi addolora, perché se ho una crisi e poi non riesco a parlare, è ovvio che io senta tutto il peso della mia malattia. Se tutti i miei sogni potessero avverarsi, sopravvivrei, ma è molto improbabile che ciò avvenga; perciò, quando penso a mia madre e al fatto che io sia figlia unica, voglio che lei si riprenda, che non crolli, che non soffra di depressione. Quanto a mio marito, è un uomo meraviglioso. È naturale che tutti debbano poter piangere un lutto, ma voglio che lui sia felice, che abbia una famiglia, che non passi la vita a piangere sua moglie. Insomma, spero che continui la sua vita, che diventi un padre. Il mio obiettivo, ovviamente, è di influenzare la politica affinché approvi il cambiamento consapevole. Vorrei che tutti i cittadini americani avessero accesso agli stessi diritti legati alla salute. Ma al di là della politica, i miei obiettivi sono piuttosto semplici: si riducono alla mia famiglia e ai miei amici. Voglio assicurarmi che sappiano quanto sono importanti per me e quanto li amo.
Traduzione Luisa Piussi
Brittany Mayna, la Repubblica 4/11/2014