Luigi La Spina, La Stampa 4/11/2014, 4 novembre 2014
TEST DI MEDICINA. PRIMA L’ANNULLAMENTO E POI LA CONFERMA, UN ALTRO PASTICCIO ITALIANO
Molte volte l’aggettivo è usato a sproposito; ma, in questo caso, l’annullamento e poi la conferma del test per il concorso di specialità in Medicina sono davvero «esemplari». Non tanto e non solo per la straordinarietà dei fatti, per le conseguenze disastrose che provocheranno, per la banalità delle cause.
Soprattutto perché dimostrano, appunto in maniera esemplare, quali siano i veri mali, quelli più profondi, quelli più difficili da estirpare dallo Stato e dalla società italiana d’oggi.
Per comprendere la gravità di una vicenda che ha fatto emergere il sintomo della malattia più pericolosa per il nostro futuro, occorre inserirla, sia pure brevemente, nel contesto che l’ha preceduta. I concorsi locali per le scuole di specialità in Medicina sono stati sempre criticati perché favorivano, si diceva, lo sfruttamento dei candidati da parte dei loro docenti, il clientelismo, la corruzione, il nepotismo di piccole e grandi baronie accademiche e professionali. Ecco perché quest’anno si era deciso di varare, per la prima volta, il sospirato «concorso nazionale», panacea contro tale malcostume. Da più di dodici mesi, perciò, i laureati in Medicina lo aspettavano e lo preparavano, con il timore di una inedita incognita, ma con la speranza di una gara finalmente corretta e meritocratica. Per il ministero dell’Università, dopo tanti pasticci proprio a Medicina, era l’occasione di un riscatto d’efficienza e di serietà. Per lo Stato italiano, la dimostrazione all’Europa di non meritare più i commenti sarcastici che, in genere, accompagnano i comportamenti della nostra burocrazia.
I dubbi di un clamoroso errore nelle caratteristiche delle prove erano emersi, tra i candidati, appena erano state lette le domande. Lo sconcerto per quello che avveniva nelle aule era altrettanto immediato: dove i controlli erano più blandi, o addirittura quasi assenti, sembrava di essere tornati all’epoca sessantottina dell’esame di gruppo, con consultazioni tra gli aspiranti alle specialità che assicuravano risultati mediamente molto alti, del tutto sproporzionati rispetto a coloro che erano costretti a lavorare da soli. Due giorni dopo, arrivava la beffa finale con l’annullamento delle prove per uno scambio, tanto banale quanto inconcepibile, fra le domande previste nei giorni di test. Sembrava la beffa finale, ma la pochade non si era ancora conclusa, perché ieri sera pare sia stato trovato il cavillo che permetterebbe la conferma delle prove. Un cavillo sul quale si abbatteranno sicuramente le cupidigie di tutti gli azzeccagarbugli d’Italia con i loro speranzosi clienti.
All’incredibile vicenda è seguito il solito scarico di colpe. Il ministro Stefania Giannini, invece di assumersi la responsabilità per il mancato controllo deal suo dicastero sulla correttezza della prova, l’ha riversata solo sul Cineca, il consorzio universitario che ha preparato il concorso. Ma gli errori, tra gli umani, possono avvenire, ed è proprio per questo che i vigilanti sono tenuti a vigilare. Anche le conseguenze saranno le solite: il Tar troverà nuovo pane per i suoi voraci denti e i ricorsi si sprecheranno, arriverà la richiesta di una sanatoria generale, il caos sul futuro dei medici italiani sarà ancora più grave. Infine, il nostro Paese avrà fatto ridere, ancora una volta, tutto il mondo.
Il male vero della nostra società che ha fatto emergere questa vergognosa storia non è solo la dimostrazione che sia impossibile evitare la truffa, il sotterfugio, proprio quando si proclama di garantire la correttezza. Ma la sciatteria, l’irresponsabilità, la mancanza di serietà, di impegno, di gusto per un lavoro ben fatto, consegnato in tempo utile che, ormai, dilagano in tutti i settori della nostra vita. Così coloro che, anche tra i dipendenti pubblici, non si arrendono a questo andazzo si sentono presi in giro, umiliati e finiscono per convincersi di aver sbagliato nella speranza che un giudizio finalmente meritocratico li premi, con un avanzamento di carriera, con un aumento di stipendio, persino con un semplice elogio.
Certamente non toccava al ministro Giannini verificare, la sera prima delle prove, la regolarità delle domande. Ma se si fosse assunta la responsabilità di un errore inscusabile, compiuto dai controllori del suo dicastero, avrebbe dato un segnale forte contro questa deriva italiana. Avrebbe contribuito, forse, all’inizio di una rivolta di quei «Faussone», come l’eroe operaio della «Chiave a stella» di Primo Levi, che ancora sopravvivono in Italia, contro chi fa troppo male il proprio dovere. Avrebbe perso una poltrona che non le darà, probabilmente, molti onori, ma avrebbe conquistato un piccolo posto nella storia dell’Italia. Peccato, così resterà nel triste pantheon dei troppi don Abbondio di casa nostra.
Luigi La Spina, La Stampa 4/11/2014