Luigi guelpa, Il Secolo XIX 3/11/2014, 3 novembre 2014
LE VITE IN FUORIGIOCO DELLE DONNE ARABE
VOLEVA ASSISTERE a una partita di pallavolo maschile, ma la repubblica islamica dell’Iran, che continua ad attingere a piene mani dal komeinismo, non ha avuto nessuna compassione per Ghoncheh Ghavami, 25 anni, arrestata insieme ad altre donne il 20 giugno mentre manifestava all’esterno dell’impianto sportivo di Teheran, e ieri condannata a un anno di carcere.
Quel pomeriggio la nazionale iraniana affrontava l’Italia in una partita valida per la World League. Muscoli troppo guizzanti che avrebbero potuto indurre a pensieri peccaminosi, devono aver pensato i dotti del Corano. A quelle latitudini l’oscurantismo medievale pesa come un macigno su qualsiasi questione sociale e le donne dagli stadi o dai palazzetti devono rimanere fuori, con quel senso di “io non posso entrare” che sa tanto degli amici a quattro zampe.
Il mondo sportivo si sta mobilitando per Ghoncheh, studentessa di legge all’Università di Londra e laureata alla Scuola di Studi orientali ed africani nella capitale britannica. Nel giorno della condanna-beffa, che non è altro che la prosecuzione di una detenzione beffa vissuta dalla ragazza anche con lo sciopero della fame (circostanza negata dai suoi carcerieri), tutti chiedono la sua liberazione. Ieri pomeriggio si è mosso anche il ministero degli esteri londinese, per via delle origini materne della giovane. «L’arresto, il processo e la condanna sono una farsa – ha tuonato il ministro William Hague – faremo tutto il possibile per tirarla fuori». Le autorità iraniane dal canto loro non hanno voluto commentare la vicenda, ma la storia di Ghoncheh ricorda quella delle due ragazze di Teheran che nel 2005 vennero ammanettate mentre tentavano di entrare, travestite da uomini, nello stadio Azadi per assistere a una partita di calcio della nazionale locale. La storia venne raccontata nel pluripremiato film di Jafar Panahi “Off Side”. Pellicola che fece infuriare così tanto Ahmadinejad da indurlo a ordinare l’arresto del regista (poi graziato su pressioni internazionali). In Iran solo di recente sono stati adibiti alle donne settori delle tribune, separate dagli uomini.
In Arabia Saudita invece al pubblico femminile è tutt’ora vietato l’ingresso quando si tratta di appuntamenti sportivi praticati dagli uomini. Le donne occidentali invece possono entrare allo stadio, ma devono indossare un hijab per coprire i capelli. La storia venne a galla quando una giornalista spagnola, Cristina Cubero, invia alla Confederation Cup di Riyadh nel 1992, fu costretta a comprare un foulard in un negozio nei pressi dell’impianto sportivo nonostante le fosse stato rilasciato un regolare accredito stampa per assistere all’evento sportivo. Non solo, ma dovette inventarsi che il collega che l’accompagnava era suo marito. Una donna occidentale in tribuna, senza partner, avrebbe fatto gridare allo scandalo. Qualcosa di ben più delirante è accaduto in Afghanistan. Lo racconta l’ex ct della nazionale femminile, il tedesco Klaus Stark, stipendiato dalla Fifa per raggiungere Kabul e contribuire alla crescita del pallone tra le donne. Stark poteva allenare le sue ragazze a non meno di cinquecento metri. Armandosi di pazienza e di telefonino, comunicava con una donna afghana che faceva da interprete e assistente. In Qatar, dove si giocheranno i mondiali del 2022, i problemi potrebbero essere insormontabili. Gli stadi prevedono posti separati per uomini e donne e al momento l’emiro Al Thani non sembra affatto intenzionato a rivedere leggi che si perdono nelle sfumature di un islam intollerante. Le stesse leggi assurde che non più tardi di un anno fa convinsero il governo a inaugurare due cliniche per curare l’omosessualità! Tutto questo mentre in un paese musulmano come in Marocco hanno fatto la loro comparsa nel 2013 le donne arbitro nel campionato maschile. È accaduto nella gara di Serie A tra il Wydad Casablanca e il Tetouan. La partita è stata quasi soporifera, complice il timore degli uomini a essere giudicati dalle donne.