Pietro De Leo, Il Tempo 3/11/2014, 3 novembre 2014
MUTANDE, GIOIELLI E SCAZZOTTATE. COSI’ ESPLODE IL SINDACATO DI DESTRA
Philippe Petit, che quarant’anni fa tese una corda sulle Torri Gemelle e ci passeggiò sopra, scrisse un libro, Trattato di funambolismo, dove sostiene che le grandi imprese non le fai senza calcolare i rischi al fine di superare i limiti. Mantenere una storia gloriosa è un grande esercizio di funambolismo. In teoria possono farlo tutti, ma basta un passo falso e addio. Questo viene in mente con gli epiloghi del sindacato Ugl. Erede di quella che fu la Cisnal (Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei lavoratori). Già una parola, «nazionale», accende la spia su quello che il suo cofondatore e a lungo leader, Giovanni Roberti, aveva in mente negli anni ’50: sfidare la rappresentanza della sinistra presso i lavoratori. Obiettivo che ha fatto da filo conduttore di quel sindacato per oltre sessant’anni, giocando nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro (soprattutto negli anni 70, quando gli stabilimenti erano terreno di coltura del terrorismo rosso) la partita che la «destra politica» conduceva nelle istituzioni: lo sgretolamento di quell’egemonia di ispirazione gramsciana che portava la sinistra, con il collateralismo del restante «arco costituzionale», ad aggrovigliare ogni settore della vita pubblica. Un rapporto complesso, quello tra la destra sindacale e politica, sinergico ma non simbiotico. Lo dimostrano alcuni passaggi storici. Nel 1980, quando il Segretario Generale della Cisnal Ivo Langhi e il leader del MSI Giorgio Almirante siglano un protocollo che stabilisce l’indipendenza del sindacato dal partito. E nel 2006, quando l’Ugl, evoluzione della Cisnal dopo la confluenza di alcune sigle minori, aderì alla campagna per il «No» nel referendum confermativo della riforma costituzionale, voluta dal governo Berlusconi di cui Alleanza Nazionale era colonna. Segretario dell’Ugl era, da qualche mese, Renata Polverini. Prima donna in Italia a guidare un sindacato, è stata l’artefice del tentativo di un’altra trasformazione importante dell’organizzazione: il sindacato che si fa classe dirigente. La possibilità di sedere ai tavoli di concertazione più importanti, infatti, dà a Renata Polverini l’esposizione mediatica che le apre pian piano la strada della politica, fino alla candidatura per il centrodestra alla presidenza della Regione Lazio nel 2010. La sua vittoria fu ampia e clamorosa (vista l’esclusione della lista Pdl della Provincia di Roma) e portò con sé, nelle vesti di assessore al bilancio, il suo predecessore alla segreteria dell’Ugl Stefano Cetica. Ma anche una squadra di esponenti di primissimo piano del sindacato, a cui affidò importanti funzioni dirigenziali. Insomma, una task force rodata e collaudata alla guida del palazzo di Via Cristoforo Colombo. Noto nel cinema come il Palazzo della Magaditta di Fantozzi. Forse più che una coincidenza una triste profezia. Non tanto per la fine della presidenza Polverini (che si è bruscamente interrotta, ma non è stata l’unica in Italia), quanto per la decadenza che ha conosciuto l’Ugl dal 2010 ad oggi. Fino agli avvenimenti di questi giorni. Campionario di tristi vicende giudiziarie che di fantozziano hanno molto, perché dipingono una classe dirigenziale fatta più di «duchi-conti» dallo scarso senso del limite (e qui torna il buon Petit) che di veri leader. L’erede di Renata Polverini, Giovanni Centrella, ha dovuto lasciare quest’anno perché al centro di una inchiesta sulla presunta appropriazione indebita di fondi del sindacato per quasi mezzo milione di euro. La stessa Polverini è finita nel mirino dei Pm per la vicenda di un presunto shopping allegro a New York con le carte di credito del sindacato. Anche qui tutto da accertare, certo. Ma quel che emerge è la poco edificante portata dei fatti. Che aggiunti ad altri formano un’antologia di gloria sciupata. Dal dossier Confsal sulle tessere gonfiate, fino all’ultimo Consiglio Nazionale di qualche giorno fa. Insomma, la corda è tesa e l’equilibrio è (molto) precario.