Pietro Minto, Rivistastudio.com 31/10/2014, 31 ottobre 2014
FASTIDIO
A metà libro si capisce che l’evoluzione c’entra qualcosa: è l’epifania inevitabile di qualsiasi indagine sui nostri assilli capire che essi esistono perché ci servono. Senza di loro non ci saremmo evoluti, saremmo stati estinti a morsi da un’altra bestia e di certo non avremmo inventato il velcro, per dire. Fastidio di Joe Palca e Flora Lichtman (Edizioni Dedalo, 248 pgg., 16 €) è una ricerca a tappe sulle cose fastidiose, un almanacco di nervi tesi e ire malcelate, una parata guidata dai Grandi Classici come le unghie sulla lavagna – unica locuzione della lingua italiana ad accompagnarsi a un suono mentale in grado di farci rabbrividire – o il ronzio di una mosca che ci svolazza attorno mentre cerchiamo di dormire. Sono incubi sociali di un mondo agiato che ha dimenticato o mosso più in là i veri problemi – un problema non è un fastidio, è qualcosa di più grave; però i problemi hanno soluzioni, i fastidi sono enigmi infami, quindi siamo pari – per quanto è altamente probabile che il fastidio sia la vera livella, colpisce tutti e non fa prigionieri.
Come ogni persona meticolosamente fastidiosa, sono ossessionato da una lunga serie di cose, persone, fenomeni, pensieri, manifestazioni che mi provocano “fastidio”. Quando provo fastidio, tendo a lamentarmene, denunciando il mio dramma ai miei simili. Tali lamentele, va da sé, mi rendono ancora più fastidioso. E così via. Avete capito come funziona. C’è però una persona in grado di consolarmi quando penso alle inezie che mi urtano i nervi, ed è Will Tung, paramedico newyorchese protagonista di un capitolo del libro in quanto assillato da un elemento fondamentale della sua professione: le sirene dell’ambulanza. Un fastidio condivisibile da tutti, quello di quel canto stonato e disperato, anche se la nostra condizione di “passanti” ci rende privilegiati, sottoponendoci alla sirena solo per qualche secondo, lo sali e scendi dell’effetto Doppler ad accompagnare l’incontro, per poi sollevarci dal suo peso. «Se sei un pedone», dice Tung, «il fastidio passa in fretta»; ma provate a guidarla, quell’ambulanza, o a fare una trasfusione di sangue nel piccolo ambulatorio mobile mentre tutto attorno a voi si muove e un urlo primordiale scaturisce dal soffitto: ueueueueueue. Tung odia le sirene dell’ambulanza. Le odia. E sono il suo lavoro. Solidarietà.
Prima di terminare il suo percorso con una sorta di Teoria Universale del Fastidio, il saggio tenta di svelare la scienza beffarda che si cela dietro alle cose che ci danno i nervi. Per quanto riguarda i suoni, è tutta questione di acustica e di asprezza, termine che ho imparato presto a detestare. Per asprezza si intende «la misura del cambiamento nell’estensione della vibrazione sonora in un arco temporale», una variazione che colpisce i nostri sensi quando, per esempio, una mosca ci ronza attorno, avvicinandosi e allontanandosi dalle nostre orecchie. Questa è l’asprezza media, la più insopportabile. C’è poi quella lenta, detta battimento, che potete gustare accordando una chitarra; e quella veloce, che «si fonde in un brusio». Nel mezzo, la tortura. Come spiega Josh McDermott, neuroscienziato della New York University, «uno dei maggiori fattori che determinano se un suono sarà fastidioso o meno è il grado di linearità dell’inviluppo», ovvero l’andamento dell’ampiezza di un suono in un intervallo temporale. Un inviluppo aspro ha forma frastagliata e quindi un volume soggetto a oscillazioni molto veloci (fastidiose). L’inviluppo del suono generato dalle unghie sulle lavagna? Non vi stupirà ma è molto aspro.
Ma qual è la correlazione tra asprezza e fastidio? La mancanza di risposta a domande simili è il punto debole di Fastidio, opera coerente con se stessa nel rendersi insopportabile trattando un argomento in cui le risposte latitano. Continua McDermott: «Si fa fatica a spiegare il perché l’asprezza di un suono sia considerata sgradevole. Per quanto ne sappiamo, possiamo dire che non è dannosa per il nostro udito». Ci sono cose sgradevoli per natura, insomma, cose che devono darci fastidio anche se non sappiamo perché. Di certo, scrivono Lichtman e Palca, si tratta di retaggi evoluzionistici che ci ricordano di evitare certi suoni o cose perché in grado di distrarci o nuocerci. La mole di materiale accademico raccolta dagli autori non aiuta nemmeno a risolvere il mistero dei fastidi olfattivi: conosciamo il processo per cui sentiamo gli odori, ciò che ci è ignoto è perché conosciamo la differenza tra “profumo” e “puzza”.
Cerchiamo quindi risposte nella genetica e seguiamo Elizabeth Simpson della British Columbia University e i suoi esperimenti sui ratti: tutti i ratti si innervosiscono in certe situazioni ma solo un ceppo – ribattezzato Fierce, «il Furioso» – è capace di azzannare la persona che lo solleva per la coda. Non si arrende mai, è tutto nerbo, il Rambo dei roditori (però, però, però Simpson preferisce non parlare di ratti arrabbiati: «non esiste un modo per sapere cosa infastidisca un topo, visto che non possiamo chiederglielo»). Il ceppo Furioso ha una caratteristica genica interessante, l’assenza del gene Nr2e1 presente in molti esseri viventi (dalle spugne agli esseri umani), che risulta collegata al fenotipo di Fierce. «Se si prende il gene umano NR2E1 sano e lo si impianta in un topo Fierce che ne è privo, il topo in questione perde il suo comportamento iperaggressivo e ritorna a essere un topo normale». Simpson sta continuando la sua ricerca, e spera un giorno di rispondere alla Grande Domanda. Nel frattempo, però, ha qualche problema di personale dato che molti suoi assistenti rinunciano a lavorare con i topolini Fierce perché «fastidiosissimi».
A parere di chi scrive, invece, la risposta al fastidio uscirà dal laboratorio di Thomas Denson, autore di un esperimento sublime e sadico. Denson ha “finto” uno studio del cervello all’interno di una macchina per la risonanza magnetica, sottoponendo ai volontari delle parole senza senso da anagrammare per creare termini d’uso comune. Ha cominciato con parole semplici per passare subito a compiti impossibili, intervallati da scortesi richiami (“Parla più forte! Più forte! Ripeti! Ma non capisci che devi parlare a voce più alta?!?”) mentre faceva baccano per rendere il tutto impossibile. Ignari di tutto, i soggetti si infastidivano sempre più e Denson ha potuto studiare il loro cervello in un momento d’estremo nervosismo. Risultato? «Alla fine dell’esperimento, quando i soggetti erano irritati, la regione più attiva era la cosiddetta corteccia cingolata anteriore dorsale. L’area fa parte del sistema limbico, una rete di regioni cerebrali situate nel prosencefalo».
Ricapitolando: geni e cervello. Sembrano questi i due attori del fastidio. Due certezze, finalmente!
E invece no, ovviamente no.
Sarina Rodrigues è l’ultima tappa del nostro viaggio, una ricercatrice della Facoltà di Psicologia all’Oregon State University la cui ricerca mira a scoprire il ruolo della genetica «nel campo dell’irritabilità e la sua possibile applicazione nella cura del fastidio»: il suo studio si concentra sulla ossitocina, una sostanza prodotta nell’ipotalamo i cui recettori sono presenti in tutto il corpo, codificati da un gene presente nel cromosoma 3 (un solo recettore specifico, quindi una sostanza più facile da analizzare). I suoi esperimenti, nati per analizzare il rapporto tra stress e fastidio, hanno portato all’inversione di quel teorema appena citato che vuole il cervello a capo del nostro fastidio: Rodrigues ha infatti scoperto una «correlazione significativa tra l’aumento della frequenza cardiaca (lo stress fisico accumulato dal soggetto in attesa del rumore bianco) e la variazione del gene che codifica per il recettore dell’ossitocina». E rieccoci da capo, senza punti fissi sulla mappa. Lo studio sull’ossitocina ha portato i suoi autori a rivedere molte convinzioni e certezze, quelle che davano al cervello il potere emozionale e al resto del corpo solo compiti collaterali. «Dove nascono le emozioni?», si domandano gli autori del libro, «nel corpo o nel cervello? E cosa sono, in fin dei conti, le emozioni?».
Nessuna risposta, nessuna certezza. Anche le poche certezze che avevamo prima di leggere questo libro se ne sono andate. Siamo soli e disorientati, infastiditi, potremmo dire, se solo non avessimo capito che anche questa cosa che chiamiamo fastidio è un mistero molto più grande di quel che pensavamo.