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 2014  novembre 03 Lunedì calendario

IL TRUCCO DEGLI INGANNI. VIAGGIO NEI SEGRETI DEI COSMETICI. CI SONO QUELLI CHE PROMETTONO MIRACOLI MA SPESSO SONO SEMPLICI IDRATANTI E POI CI SONO QUELLI CHE FANNO MALE

Dietro la pubblicità un cosmetico è molto meno di quello che immaginiamo. Prendiamo le creme. Ce ne sono per il giorno, la notte, il weekend, e poi l’estate, l’inverno, la mezza stagione. Per pelli grasse o secche, con i brufoli o i punti neri. Per neonati, giovani, anziani. Per lenire, levigare, rassodare, astringere i pori. Contro grinze, smagliature, cellulite , macchie caffelatte. Un gran bazar da perdere la testa. E a forza di spot in tv vedi le stelle: “Agisce in profondità e attiva il rinnovo cellulare – ti promette la ditta -. Effetto rughe ridotte e pelle più giovane”. In pratica, ci fanno credere di avere il superpotere di un camaleonte. “Le creme per fortuna non penetrano nella nostra pelle, che è una barriera protettiva contro l’ingresso di sostanze e agenti esterni - spiega Paolo Daniele Pigatto, dermatologo e presidente della Società italiana di dermatologia (Sidapa) -. Al massimo idratano l’epidermide, lo strato della cute in superficie, ci danno un effetto piacevole al tatto, nulla di più”. Quindi addio smanie da Peter Pan. “La pelle – continua il medico - è un organo che si autorinnova di continuo, sostituendo le cellule vecchie con quelle nuove. Se trattata bene, non ha bisogno di altri stimoli”. Pelle superliscia Vero specchietto per le allodole sono i principi attivi reclamizzati. Per esempio, l’Aloe. Shampoo, bagnoschiuma, creme per corpo, mani e viso pensati apposta per trasformare la pelle di un adulto in quella di un bebè, tenera e liscissima. Il Fatto ha intervistato in anonimato il proprietario di un’azienda produttrice di cosmetici per conto di piccoli e grandi marchi, per capire cosa si nasconde dietro la strategia del marketing: “Il gel di aloe viene estratto dalla pianta attraverso l’acqua o altri solventi, tipo glicerina, olio di girasole o nocciolo. Spacciano prodotti al cento per cento di pura aloe, ma è falso. L’80 per cento dell’ingrediente è costituito dal solvente, che nell’etichetta andrebbe sommato alla quantità di acqua o di altro liquido già presente. Non succede mai. E comunque il principio attivo, in generale, non supera mai l’uno per cento, il resto sono eccipienti”. Labbra canotto, zigomi elastici, sguardi da gatta, glutei sodi: le ambizioni dell’acido ialuronico (peraltro già disponibile nel nostro corpo e responsabile dell’elasticità della cute), possiamo fidarci? “La sua molecola serve a trattenere l’acqua nel derma (lo strato intermedio, ndr) e regala un leggero turgore. Ma anche questa è una polvere idrofila. Lip gloss vari che vantano acido ialuronico sono inutili perché fondamentalmente privi di acqua”. Per avere risultati l’unico modo è iniettarlo nel derma o sottocute. Il coenzima Q10, altro ingrediente totem nei cosmetici, altro rischio fregatura. “Ha proprietà antiossidanti e un colore ocra. Perché sia efficace la crema deve avere una tonalità giallo tuorlo d’uovo e quindi contenerne almeno lo 0,05 per cento. Se è bianca, e quasi sempre è così, la dose di Q10 è ridicola”. Avrete sentito parlare anche dei sieri all’acido glicolico puro, “una definizione truffaldina” commenta l’imprenditore, che è un perito chimico. Il motivo? “Ha un ph tra 1 e 1,2 fuori legge. Nei cosmetici è consentito un ph superiore a 2,5”. Il valore della confezione Dall’elenco di ingredienti in etichetta (la cui denominazione internazionale è Inci, International nomenclature of cosmetic ingredients) il consumatore dovrebbe capire se un cosmetico è valido o meno. Sbagliato. “I componenti sono in ordine decrescente per quantità, se sotto l’uno per cento sono sparsi. Le percentuali non sono mai indicate per tutelare la formula del marchio. Quindi un doccia schiuma acquistato al supermercato e un altro in profumeria possono avere lo stesso Inci e un prezzo molto diverso. Questo non significa che il più caro sia migliore del più economico”. La formula è quella che incide di meno sul costo finale. “I nomi famosi investono nel packaging, vasetti e confezioni più glamour, e il 40 per cento in pubblicità”. Ecco la brutta sorpresa. La nostra fonte ci mostra una scheda dei costi. La differenza del costo industriale di una crema-viso di media qualità, da 50 ml, che si trova sullo scaffale di un supermercato e di un’altra distribuita in profumeria è di appena 17 centesimi. Che choc. La prima vale 0,44 euro, la seconda 0,61. Il prezzo al pubblico si gonfia anche di otto volte: 8/10 euro e 60/70 euro. In farmacia si vende a 20/25 euro, ma il valore di produzione è sempre 0,61 euro. Leggiamo le cifre del packaging: un euro nel primo caso, poi sei euro e due. “Il brand giustifica il rialzo del prezzo fino a otto volte per sieri, prodotti anticellulite, antiage. Fino a due o tre per detergenti, tonico, balsamo, shampoo. L’azienda applica uno sconto del 50 per cento al profumiere o al farmacista, che a sua volta lo vende a prezzo pieno al cliente” rivela la fonte, che aggiunge: “Diffidate dai flaconi di sapone da due litri sotto. Dentro contengono poco tensioattivo o questo è aggressivo e di solito irrita la cute”. Ci sono aziende, a dirla tutta, che non si comportano a regola d’arte. “Per legge il dossier di ogni cosmetico va inserito in un registro europeo. Spesso il mio cliente se ne frega ma io non posso, se arriva un controllo dei Nas sono guai. Allora ci penso io, ma nessuno mi paga”. Un cosmetico chiuso di solito non scade prima dei cinque anni. La domanda è: quanto può durare dalla data di apertura? Sulla confezione c’è il Pao (period after opening), un simbolo grafico che indica il periodo d’uso del prodotto. “Se conservato in ambiente asciutto e lontano dalle fonti di calore un cosmetico aperto dura da uno a tre anni, a prescindere dalle sue proprietà – spiega la nostra gola profonda -. Ma per accelerare il turnover della merce nei negozi, fissiamo un Pao di tre o sei mesi soprattutto sull’articolo venduto in farmacia o profumeria”. Prezzi aumentati fino a otto volte Da sapere ce n’è ancora. La natura delle materie prime, vegetali, sintetiche o animali, non è specificata. E il bollino cruelty free, che indica che per la realizzazione del prodotto non sono stati fatti test sugli animali, può essere ingannevole. Perché? “Le materie prime storiche sono state tutte sperimentate sugli animali. La normativa europea che vieta questa pratica risale solo all’11 luglio 2013”. La scritta “senza glutine” invece un senso proprio non ce l’ha: “È solo un claim. Per i celiaci il glutine è tossico solo per bocca, non sulla pelle” dichiara il dermatologo Pigatto. Fuorviante anche la scritta fragrance free. “I profumi – spiega il medico - spesso si celano sotto altri nomi, per esempio il Lyral, che provoca reazioni allergiche”. Negli ultimi anni fa tendenza anche un’altra dicitura: Paraben free, cioè senza l’impiego di parabeni, un tipo di conservanti. “Una vera crociata. I marchi ci chiedono di non usarli assolutamente. Eppure sciroppi, marmellate, succhi di frutta, sughi contengono parabeni. Vero, possono dare irritazione, allergie. Ma sono sostituiti con altri conservanti analoghi o addirittura più sensibilizzanti, come il Methylchloroisothiazolinone (Kathon è il nome commerciale, ndr), presente in molti prodotti a buon mercato”. Morale: se usciti dalla doccia abbiamo bisogno di spalmarci sul corpo ogni giorno creme idratanti è perché usiamo detergenti sgrassanti con troppa frequenza che tolgono quel film idrolipidico naturale dalla nostra pelle.
Chiara Daina, il Fatto Quotidiano 3/11/2014