Ugo Magri, La Stampa 3/11/2014, 3 novembre 2014
DELL’UTRI, SCAJOLA, COSENTINO E GALAN, PRIMA DA BERLUSCONI, POI DIMENTICATI DAL PARTITO. ORMAI RESISTE SOLO VERDINI
Erano i generali dell’armata berlusconiana: Marcello Dell’Utri, Claudio Scajola, Nicola Cosentino, Giancarlo Galan. Adesso a Forza Italia nessuno li conosce più. Dimenticati in carcere oppure agli arresti domiciliari. Come in Unione Sovietica, dove gli epurati sparivano dalle foto con Lenin, i 4 sono stati rimossi dall’immaginario forzista. Zero iniziative a loro sostegno tipo comitati, gazebo, sit in, manifesti, digiuni. Rarissime le visite per portare un briciolo di conforto agli ex compagni di lotta e di governo. A Berlusconi, dicono, piacerebbe tanto farsi vivo ma non può in quanto lui stesso sta scontando i servizi sociali e pure dopo, quando tornerà libero, dovrà chiedere ai giudici mille autorizzazioni... Chi gli sta intorno evita di sbilanciarsi. Non c’è una sola dichiarazione a sostegno di quanti, poco tempo fa, sarebbero stati presentati addirittura come «martiri» del berlusconismo. La «damnatio memoriae» è così radicale, che viene da chiedersi: da dove nasce questa voglia di cancellarli?
Prima teoria: Dell’Utri, Scajola, e gli altri erano visti con sospetto già prima della loro disgrazia, che ha confermato la «vox populi». Per cui ora il partito li molla al loro destino. Ipotesi numero 2: il garantismo valeva solo per Berlusconi e non per chi lo accompagnava, al punto che a rivendicarlo è rimasto solitario Cicchitto, con la nuova edizione aggiornata del suo cavallo di battaglia, «L’uso politico della giustizia» (attenzione però: Cicchitto non è più forzista ma sta con Alfano). Terza spiegazione, forse la più vera: il cosiddetto «cerchio magico», la nuova leva scalpitante dei quarantenni berlusconiani, non vedeva l’ora di rottamare quanti incarnavano il forzismo delle origini, sempre più causa di imbarazzo. Dunque non ha disdegnato un aiuto dalle Procure. Guarda caso, proprio nel giro stretto di Arcore nasce il tamtam sulle tegole giudiziarie presto in capo a Verdini, ultimo «highlander» della vecchia guardia.
Sia come sia, un rigido cordone sanitario è stato steso intorno a quei quattro, che salgono a sei calcolando Alfonso Papa e Marco Milanese. Dell’Utri l’ha visitato a giugno nel supercarcere di Parma la solita irruenta «Pitonessa» Santanchè. Qualche volta si è fatto vivo un deputato che era stato dipendente di dell’Utri in Publitalia, Massimo Palmizio. Per il resto l’ex padre fondatore di Forza Italia ha visto i familiari e l’avvocato, Giuseppe Di Peri. Riceve una quantità di lettere alle quali risponde con cura maniacale, ma sempre da gente umile, non dai politici di rango che fingono di non averlo mai conosciuto (tra l’altro la corrispondenza è tutta registrata). Da Cosentino, chiuso a Secondigliano, è andato 3 volte il deputato «azzurro» Luca D’Alessandro. Ha pure presentato un’interrogazione alla Camera. Ma gli altri se ne guardano bene, anche in considerazione dei pessimi rapporti intercorsi tra l’ex sottosegretario carcerato e Francesca Pascale, fidanzata di Silvio. Alcuni, come il senatore campano Nitto Palma, teorizzano che «non dobbiamo fare nulla, meno la politica si impiccia e meglio è per Cosentino».
Scajola, nel partito, risultava antipatico per il carattere burbanzoso. Berlusconi l’aveva marginalizzato quando si era venuto a sapere della casa acquistata «a sua insaputa», vicenda dalla quale l’ex ministro è stato appena prescritto. Resta in piedi l’accusa di aver favorito Amedeo Matacena (latitante a Dubai) per intercessione della moglie Chiara Rizzo. Scajola spera che molto presto gli rendano la libertà. Inganna l’attesa passeggiando nel giardino pensile di Villa Ninina a Imperia, in compagnia ideale di Giancarlo Galan (altro personaggio che paga una buona dose di arroganza) L’ex Doge trascorre le giornate avanti e indrè nel parco della sua Villa Rondella, secondo l’accusa acquistata coi soldi del Mose. Ha patteggiato 2 anni e 10 mesi, conta di essere affidato tra qualche mese ai servizi sociali. Proprio come il suo mentore Berlusconi. In comune hanno l’avvocato difensore, Niccolò Ghedini. Ma è l’ultimo filo che ancora li lega.
Ugo Magri, La Stampa 3/11/2014