Paolo Conti, Corriere - La Lettura 2/11/2014, 2 novembre 2014
CONSERVA CIÒ CHE NON SAI GENERARE
«Ad ogni passo che io faccio, su qualunque oggetto io volga il mio sguardo, mi par di sentire pronunciare accanto a me la sublime espressione della Scrittura: “Io sono la resurrezione e la vita”». Le opere pittoriche di John Constable, quei cieli sempre così corruschi e gravidi di monumentali nuvole grigie soprattutto dopo la morte dell’amata moglie Maria, assumono un altro senso con una simile chiave di lettura: ciò che appare sulla tela è il frutto di un disegno divino, certo
non è il prodotto del caos. Paolo Portoghesi deve aver amato molto la confessione di Constable per la sua profonda semplicità, visto che appare all’inizio della premessa alla sua antologia Il sorriso di tenerezza. Letture sulla custodia del creato, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana. Una proposta contro corrente, lo spiega lo stesso architetto e urbanista nella nota conclusiva: «Il libro nasce dal desiderio di spingere il lettore a riconoscere nella bellezza del creato l’impronta del Creatore». E nell’introduzione il cardinale Raffaele Farina avverte: «Il libro è uno stimolo rivolto ai credenti perché si uniscano senza complessi di inferiorità a coloro che si battono contro il degrado dell’ambiente e contro il consumismo». Un esplicito manifesto di ecologia cristiana, di tutela dell’ambiente che scaturisce dalla fede, firmato dal progettista della moschea di Roma e di tante chiese, dal docente che ha fondato all’ateneo «La Sapienza» di Roma la cattedra di Geoarchitettura per spingere le nuove generazioni a rispettare la natura e a praticare la «decrescita felice».
Il programma culturale del volume è dunque trasparente, sorretto anche dalle tante foto scattate dallo stesso Portoghesi in giro per il mondo e soprattutto nella sua adorata Calcata, nel cuore della campagna viterbese, dove l’architetto con la moglie Giovanna curano un parco ricco di rinvii storico-artistici e allevano animali, tra cui asini, lama e capre (breve inciso: il libro è dedicato proprio alla moglie Giovanna, una dichiarazione di amore coniugale che nei nostri giorni può apparire addirittura eccentrica).
Naturalmente si parte dall’Antico Testamento, dai Salmi (il folgorante 35: «Signore, la tua grazia è nel cielo/ la tua fedelta fino alle nubi/ la tua giustizia è come i monti più alti/ il tuo giudizio come il grande abisso») e si approda alla Patristica, dove il teologo e poeta Efrem il Siro, vissuto tra il 303 e il 373, spiega così il mistero della convivenza tra bene e male: «Nel terreno crescono in pace, vicine tra loro, le varie radici: presso quella dolce, quella amara. Presso quella salutifera, quella mortale. Dalla terra viene l’amaro del veleno, e dalla terra viene la dolcezza del medicinale». San Clemente, quarto Pontefice, scruta i ritmi del Pianeta col filtro del suo credo: «Vediamo, o miei diletti, la resurrezione che avviene al suo giusto tempo. Il giorno e la notte ci mostrano una resurrezione: la notte si addormenta e il giorno si leva, il giorno se ne va e la notte sopravviene».
Sant’Ambrogio nell’Esamerone ricostruisce il ciclo naturale della pioggia che nasce dal mare, descritto come «sentiero di salvezza per i transfughi» e «deposito dei terreni alluvionali». Bagliori di contemporaneità, se si pensa ai disperati di Lampedusa e alle continue bombe d’acqua che devastano le nostre terre. Ma è l’approdo alla modernità, e quindi ai tempi che viviamo, a stupire. Magari ti aspetti il Dostoevskij dei Fratelli Karamazov («Amate tutto il creato nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio di sole. Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa», fa dire allo Starek Zosima, quasi un alter ego di Francesco d’Assisi). Ma impressiona Cézanne che scrive a Émile Bernard nel 1904 proponendo di studiare la natura seguendo le leggi geometriche dei solidi come il cilindro, la sfera, il cono: «Le linee parallele all’orizzonte danno l’estensione, cioè una sezione della natura, o se preferite dello spettacolo che il Pater Omnipotens Aterne Deus dispiega davanti ai nostri occhi».
O Vincent van Gogh che, attanagliato dal suo intricato disagio del vivere, scrive nel 1887 alla sorella Wilhelmina e si interroga citando Cristo: «Di questi tempi, credo che Gesù stesso direbbe a coloro che siedono tristemente: “Non è qua, alzati e cammina. Perché cerchi i vivi tra i morti?”». Cechov lascia ad Astrow, in Zio Vania, la piena condanna dell’uomo che distrugge i boschi per riscaldarsi: «Bisogna essere dei barbari insensati per distruggere nelle stufe questa bellezza, per distruggere ciò che noi non possiamo creare. L’uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per accrescere ciò che gli è stato dato: ma fino ad ora egli, invece di creare, non ha fatto che distruggere».
In chiusura c’è l’analisi della fine del Novecento che ha visto, sostiene Portoghesi, «il processo di repressione della bellezza». E cita James Hillman, nel saggio Politica della bellezza del 1998, preoccupato da questa guerra estetica: «È una questione che riguarda non solo le arti, la psicologia e la teoria dell’estetica ma anche il mondo in cui viviamo e la condizione della sua anima e delle nostre». Siamo sulla sponda opposta alla certezza di Simone Weil: «Dio ha creato l’universo, e suo Figlio nostro fratello primogenito, creò per noi la sua bellezza. La bellezza del creato è il sorriso di tenerezza che Cristo rivolge a noi tramite la materia».
Saranno molti i non credenti che sorrideranno, tra compassione e sufficienza. Ma anche chi è lontano anni luce dalla fede può condividere l’analisi proposta da Benedetto XVI in Caritas in veritate del 2009 quando paragona la distruzione dell’ambiente a una forma di autolesionismo dell’uomo: «Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso, e viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano». Il suo predecessore Paolo VI poco prima di morire dichiarava così il suo amore estetico per la vita terrena: «Questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura». Persino il più inflessibile tra gli atei militanti sottoscriverebbe quelle righe.