Evgeny Morozov, Corriere - La Lettura 2/11/2014, 2 novembre 2014
UN TABLET SPIA I TUOI SORRISI COSÌ LA TECNOLOGIA TI INSEGUE ANCHE A TEATRO
Negli ultimi sette anni la vita della maggior parte degli europei ha subito due sconvolgimenti — diversi ma correlati: il primo è stato un grazioso regalo di Wall Street, l’altro lo si deve alla Silicon Valley. Da un lato, la crisi finanziaria globale e le conseguenti iniziative di salvataggio delle banche hanno prosciugato le risorse dello stato sociale, eliminando o mutilando il settore pubblico, uno dei pochi cuscinetti rimasti ad attutire l’invasione dell’ideologia neoliberista, altamente individualistica e in adorazione del mercato.
I pochi servizi pubblici sopravvissuti ai tagli sono diventati estremamente costosi o sono stati costretti a sperimentare nuovi meccanismi di sopravvivenza, a volte di tipo populista. L’ascesa del crowdfunding, il finanziamento collettivo, ne è un buon esempio: molte istituzioni culturali, non potendo più affidarsi ai generosi e incondizionati finanziamenti governativi, hanno dovuto raccogliere fondi direttamente dai cittadini. In mancanza di alternative hanno dovuto scegliere tra il populismo del mercato (la gente sa bene quel che vuole finanziare!) e la definitiva estinzione.
Il secondo sconvolgimento — di cui è responsabile Silicon Valley — ci è stato presentato come uno sviluppo prevalentemente positivo, e questo ha contribuito a mascherare alcuni dei gravi problemi politici ed economici da cui è anch’esso affetto. Dopo aver cablato il mondo, Silicon Valley ci ha assicurato che la magia della tecnologia avrebbe pervaso in modo naturale ogni angolo della nostra vita: opporsi all’innovazione tecnologica equivarrebbe a negare gli ideali dell’Illuminismo, e Larry Page e Mark Zuckerberg si presentano come i successori in veste imprenditoriale di Diderot e Voltaire.
Stranamente, però, si è portati a credere che il secondo tipo di rivoluzione sia indipendente dal primo. L’improvvisa popolarità dei Mooc, i corsi online, e di altre tecnologie di apprendimento non è stata considerata una conseguenza dei tagli nei bilanci delle università, ma un naturale risultato dell’innovazione portata dalla Silicon Valley — gli hacker sono arrivati a «sovvertire» le università nello stesso modo in cui hanno portato scompiglio nell’industria della musica o nel giornalismo! Analogamente, il finanziamento collettivo non è stato messo in relazione ai tagli dei fondi delle istituzioni culturali: anche in questo caso si sarebbe trattato solo di un forte momento di «rottura», in cui un settore innovativo non faceva altro che subentrare a un concorrente più lento.
Questi due tipi di rottura con il passato — quello finanziario e quello tecnologico — sono recentemente giunti a incrociarsi al Teatreneu, un teatro di Barcellona. Come molte altre istituzioni culturali spagnole, il teatro ha dovuto affrontare un notevole calo di entrate quando il governo, alla disperata ricerca di risorse per tappare i buchi di bilancio, ha dovuto elevare dall’8 al 21 per cento le tasse sulla vendita dei biglietti.
Gli amministratori del Teatreneu hanno però trovato una soluzione ingegnosa: in partnership con l’agenzia pubblicitaria Cyranos McCann, hanno dotato il retro delle poltrone di un tablet capace di analizzare le espressioni del viso. Ora gli spettatori entrano nel teatro gratuitamente, ma devono pagare 30 centesimi per ogni risata registrata dalla tavoletta (per un massimo di 24 euro, ossia 80 risate per spettacolo). Un’applicazione mobile facilita l’operazione del pagamento alla fine dello spettacolo. A quanto sembra, in questo modo il costo medio dei biglietti è cresciuto di 6 euro. Il sistema ha anche il pregio di apparire giusto: se lo spettacolo è noioso, non si dovrà pagare nulla. Come era prevedibile, si possono anche condividere con gli amici i selfie delle risate.
Dal punto di vista della Silicon Valley, questo è un episodio da manuale di una situazione problematica che si risolve per il meglio: la diffusione di sensori intelligenti e di connettività internet crea nuovi modelli di business e nuovi profitti.
Crea anche nuove occasioni di lavoro per chi produce hardware e software. Non ci sono mai state così tante possibilità di scelta per pagare beni e servizi con così poco sforzo: lo possiamo fare con lo smartphone, e ora anche con la carta d’identità (MasterCard, ad esempio, si è recentemente accordata con il governo nigeriano per lanciare una carta d’identità che funziona anche come carta di credito).
Per la Silicon Valley si tratta solo di una tecnologia che ne sostituisce un’altra — è uno dei tanti modi per smettere di usare i contanti — e anche di usare la plastica, sempreché Visa e MasterCard non si organizzino diversamente.
Questa spiegazione potrebbe andare bene a imprenditori e investitori, ma noi non dovremmo accettarla: celando l’esistenza dei problemi finanziari che stiamo subendo, questo quadro tecno-centrico ci offre una versione piuttosto superficiale di quel che ci sta accadendo e delle sue ragioni. Certo, ci possiamo rallegrare di poter pagare molte cose più facilmente. Ma non dovremmo anche preoccuparci che questa infrastruttura ci addebiti dei costi maggiori — e su più cose — rispetto a prima?
Che c’è di male, in fondo, nel denaro contante? Cosa, a parte la molla del profitto, lo rende un obiettivo da eliminare? Il contante non lascia tracce, erigendo in questo modo importanti barriere tra il cliente e il mercato. Quando si paga in contanti, le transazioni sono individuali — nel senso che non sono collegate tra di loro. Quando pago con il cellulare — o, peggio ancora, quando il selfie scattato dal sedile che mi sta di fronte viene conservato per i posteri o è condiviso nel mio social network — si crea una tracciabilità che può essere sfruttata dalle agenzie pubblicitarie e da altre aziende. Che l’esperimento di Barcellona sia nato in partnership con una società di pubblicità non è una coincidenza: la registrazione di transazioni commerciali rappresenta anche una bella opportunità per raccogliere dati che potrebbero servire a personalizzare la nostra pubblicità.
Questo significa che ogni transazione elettronica che facciamo non è mai veramente conclusa: la sua coda — anche solo per la scia di dati che si lascia dietro — ci segue ovunque andiamo, stabilendo collegamenti tra le nostre attività quotidiane che, forse, dovrebbero rimanere scollegate.
La rivoluzione tecnologica, a quanto pare, ha origini tutt’altro che tecnologiche. È favorita dalla crisi politica ed economica in cui ci troviamo, ma le sue conseguenze avranno un profondo effetto sui nostri legami sociali. Valori come la solidarietà — il fondamento della democrazia sociale — sono molto difficili da sostenere (e ancor meno da promuovere) in un ambiente tecnologico ossessionato dalla personalizzazione e dai prezzi a misura individuale. Solo mettendo in discussione la presunta natura apolitica della rivoluzione della Silicon Valley potremo forse recuperare un po’ di controllo sulla profonda trasformazione che induce nella nostra vita quotidiana, che è effettivamente turbata, ma da forze molto più malefiche dell’innovazione.
(traduzione di Maria Sepa)