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 2014  novembre 03 Lunedì calendario

SE MAI SARÀ COMPLETATA, LA LINEA C DELLA METROPOLITANA DI ROMA RISCHIA DI ESSERE L’OPERA PUBBLICA PIÙ COSTOSA DEL DOPOGUERRA: IL CONTO FINALE POTREBBE ARRIVARE A 6 MILIARDI DI EURO. UNA GUERRA A COLPI DI AZIONI LEGALI, VARIANTI E ARBITRATI CHE VA AVANTI DA SETTE ANNI FRA IL COMUNE DI ROMA E LE IMPRESE COSTRUTTRICI. INTANTO IL TRATTO GIÀ FINITO RESTA CHIUSO


Il record è a portata di mano: se mai sarà completata, la linea C della metropolitana di Roma rischia di essere l’opera pubblica più costosa del dopoguerra. Dice tutto un dettaglio della guerra a colpi di azioni legali, varianti e arbitrati che va avanti da sette anni fra il Comune di Roma e le imprese costruttrici. C’è un arbitrato avviato nel 2007, pochi mesi dopo l’aggiudicazione della gara al general contractor Metro C, che nel settembre 2012, a distanza di cinque anni, sembrava concluso. Per una volta tanto, senza la solita Caporetto per lo Stato.
A fronte di una richiesta delle imprese di ulteriori 210 milioni, gli arbitri ne avevano concessi 15. Ma il Comune o, meglio, la società comunale incaricata di gestire i rapporti con quel consorzio il cui capitale è ripartito fra Astaldi, gruppo Caltagirone, le Coop e l’Ansaldo Finmeccanica, ha impugnato la decisione: il giudizio è pendente in Corte d’appello, che ha fissato la prima udienza il 10 ottobre 2017. Cinque anni dopo l’impugnazione. Mentre 36 mesi sono bastati per realizzare la nuova linea della metropolitana di Madrid.
La morale di questa storia incredibile, finita in un gorgo di carte bollate con un maleodorante strascico di giunte che traballano, assessori dimissionari e amministratori delegati che saltano, è innanzitutto una: la conferma del clamoroso fallimento della legge obiettivo, che avrebbe dovuto garantire tempi e costi certi.
I costi, appunto. Basta leggere la denuncia di 59 pagine che hanno presentato qualche settimana fa alla Procura di Roma il consigliere comunale radicale Riccardo Magi e Antonio Tamburrino, per capire come sia stato possibile che per un appalto aggiudicato ai vincitori a un prezzo di 2,7 miliardi per l’intera tratta di 25,6 chilometri si sia già arrivati al conto astronomico di 3,7 miliardi. E senza che si sia ancora affrontato il tratto certo più problematico: quello che dovrebbe percorrere il centro urbano sotto corso Vittorio Emanuele.
Già due anni fa la Corte dei conti aveva tracciato un quadro allucinante, sostenendo che se il rincaro del pezzo mancante fosse stato in linea con quello già registrato, il conto finale avrebbe potuto sfondare 6 miliardi: mezzo miliardo più del Mose di Venezia. Il che significherebbe 234 milioni a chilometro, contro 120-150 della media europea.
E poi i tempi. La gara viene assegnata nel 2006, con le procedure della Legge obiettivo e la previsione di aprire un primo tratto entro il 30 aprile 2011. Siamo a fine 2014 e ancora niente. L’apertura di quel frammento di linea è stata rimandata perché i sistemi non funzionavano. Del resto, il 3 ottobre la commissione di collaudo presieduta dall’ex Ragioniere dello Stato Andrea Monorchio aveva concluso che «non ricorrono i requisiti per l’utilizzo ai fini dell’esercizio commerciale». Traduzione: non si possono trasportare passeggeri.
Certo, fare un buco sotto Madrid non è come farlo sotto il centro di Roma. E su costi e ritardi è inevitabile chiamare in causa il potere della Soprintendenza. Ricordando una lettera che la stessa Soprintendenza scrisse a Roma Metropolitane mettendo bene in chiaro che né costi né tempi sono di qualche interesse per le questioni che riguardano l’archeologia. Anche se va precisato che qui l’incontro ravvicinato fra la talpa e l’archeologia non è ancora avvenuto.
La lievitazione dei costi e dei tempi ha a che fare con storie diverse, sulle quali ha acceso un faro l’autorità anticorruzione di Raffaele Cantone. E anche la Corte dei conti, avviando un procedimento a carico di 21 dirigenti pubblici e manager per un presunto danno erariale di 363 milioni.
La scelta tecnica, innanzitutto. Metro C vince la gara con il progetto di galleria unica. Ma poi si cambia tipologia e i lavori vanno avanti a singhiozzo e a colpi di varianti: finora ne sono state contate 45. Mica male, per un’opera che doveva avere tempi e costi certi ed è finita incagliata con il contorno di clamorosi scontri politici come quello che ha portato alle dimissioni dell’assessore al Bilancio della giunta di Ignazio Marino, Daniela Morgante, magistrato contabile, che si era opposta al riconoscimento di 90 milioni aggiuntivi a favore di Metro C. Consorzio, va ricordato, che nel 2010 figurava fra i finanziatori del Pdl, che allora governava anche il Campidoglio. Per non parlare dell’assurdità di certi contenziosi, quale la battaglia a colpi di decreti ingiuntivi fra il Comune di Roma e Roma Metropolitane, interamente posseduta dal Comune. La cui stessa esistenza in vita lascia perplessi: una società pubblica che a fine 2012 occupava 189 persone e spendeva più di 13 milioni solo per stipendi. Per sovrintendere all’opera.
E mentre il Campidoglio litiga con se stesso, la capitale d’Italia, fra le città più congestionate del mondo, continua ad avere meno linee metropolitane di Bilbao. Possibile che debba andare a finire sempre così?