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 2014  novembre 01 Sabato calendario

«LA REALTÀ È PIÙ GRANDE DI NOI E IO VOGLIO RACCONTARLA TUTTA»

[Intervista a Antonio Pennacchi] –

I Neandertal alla fine non erano così rozzi come li si dipinge. Costruivano utensili molto funzionali. Li decoravano, quindi apprezzavano l’inutile: l’arte. Avevano, probabilmente, una forma di culto dei morti, una «cultura immateriale»: un senso della spiritualità. Lo racconta, insieme a molte altre cose, Antonio Pennacchi nel suo ultimo libro, Camerata Neandertal (Baldini & Castoldi, pagg. 290, euro 16), un romanzo-memoir umoristico e divertito, pieno di ironia, furore e cazzeggio. E a proposito, si può scrivere Neandertal, senza l’acca in mezzo, invece di Neanderthal. E a proposito bis: la paleontologia non è una fissazione dello scrittore di Latina, magari legata al ritrovamento di un teschio neandartaliano in mezzo a un circolo di pietre a Grotta Guattari a due passi da casa sua. Viene il sospetto che sia una metafora. Politica. E glielo domandiamo: non è che riabilitando i negletti Neandertal intende fare del revisionismo sui grandi impresentabili, ormai quasi innominabili, della storia, Fascismo e comunismo? Risposta: «E lei che dice...?».
Dico che sì, ha voluto fare del revisionismo.
«Mi hanno ammazzato un libro per questa storia: Il fasciocomunista. Nel film Mio fratello è figlio unico quei tre teste di cazzo degli sceneggiatori hanno dovuto fare i fascisti tutti cattivi e imbecilli. Perché non gli tornava che i fascisti potessero essere persone normali, come tutti gli altri».
E invece lei ha sempre cercato un’unione, magari rissosa, oltre le divisioni ideologiche.
«La vita è un campo di tensioni. Lo racconto nel libro che mi sono menato con Ajmone Finestra quando mi cacciò dall’Msi, mi sono menato con mio fratello Gianni, più di una volta. Ci meniamo, ma poi la cosa che serve a tutti la facciamo».
Sembra Guareschi. Peppone e Don Camillo.
«Sono diverso da lui. La mia scrittura è più elaborata della sua, e l’ho già detto e ridetto. Ma il suo cinema mi piace sempre. Ogni volta riguardo i Don Camillo quando li fanno in tv. Guareschi era un anticomunista viscerale (in questo sono come lui, viscerale, di pancia), ma in fondo è un togliattiano».
Un togliattiano?!?
«Ha un fortissimo sentimento dell’unitarietà del popolo. E in questo è togliattiano. Quando Togliatti parla di “unità nella diversità”. Il prete e il sindaco comuniste che si pigliano a botte, ma sempre nell’interesse e al servizio del popolo. Anzi sa cosa le dico?».
Lo dica...
«Quella di Guareschi sembra addirittura una visione maoista (nel senso di quel che Mao scrive, non nel senso di quello che fa, naturalmente). Tutto deve tendere all’uno».
Va bene. Politica come soluzione di problemi pratici, sociali. Come piccola comunità unita quasi familiarmente, nonostante tutto. Le piace la Lega di Salvini?
«Per me è molto più progressivo Berlusconi che Salvini. Il giudizio sulla politica non si fa rispetto al tasso di corruzione. Ma sull’efficacia del progetto. Quello di Salvini non guarda avanti. Non vuole rischiare. Vuole salvaguardare l’esistente. Mentre ormai siamo necessitati a guardare avanti, verso un governo globale. Il nostro destino è la globalizzazione».
Ma lei dice di detestare il Cav...
«L’ho detto. Ma cambio spesso idea».
Le piace l’Europa?
«Non mi piace l’Europa dei banchieri. Ma la soluzione è l’Europa politica, finalmente, non il “meno Europa”. Salvini da questo punto di vista guarda solo in casa, al qui e ora. Torno da un viaggio in Cina. Lì pensano avanti, ai prossimi trenta, quaranta anni».
E quindi Renzi e Berlusconi.
«Renzi lo voto, l’ho votato e lo voterò. A me personalmente, a pelle, Renzi non mi piace. Quando vedo in tv da come si muove sembra Galeazzo Ciano nei filmati dell’Istituto Luce. Fare tronfio, finta bonomia, “so tutto io”. Ma non c’è altra soluzione. Il patto con Berlusconi e storicamente necessitato (Perché non l’abbiamo fatto fare a D’Alema? Ci saremmo risparmiati 20 anni di dismissioni industriali). I patti si fanno con l’avversario, se no con chi cazzo li fai? Ma semmai si poteva fare di più. Non solo una riformicchia. Ci levano il senato e forse si fa la legge elettorale. Capirai! Ma già che ci sei ribaltalo il paese! Dai una botta alla magistratura, anche! Anche sto fatto della Fiom. Giorni e giorni di polemiche per quattro manganellate...».
Eh?
«Ne ho prese di botte ai tempi miei. Pare che le cosa più importante siano le botte alla manifestazione. Eh no. La cosa più importante è se riesci a far stare aperta questa cazzo di fonderia. Non c’è un operaio italiano che rinuncerebbe a prendersi quattro manganellate, purché gli tieni aperta la fabbrica».
Chiarissimo. Torniamo al libro. Lei è un materialista e ha scritto una autobiografia dove si parla molto di spirito. Di culto dei morti. Racconta di un’esperienza di pre-morte. Cosa le succede?
«Scrivo in una lingua senza aggettivi, non scrivo barocco, scrivo essenziale. Racconto i fatti. Quella che lei chiama “esperienza pre morte” la dico in poche righe e con molto pudore. La musa delle mie opere e mia moglie. E ogni volta mi rimette a terra quando rischio di partire per voli pindarici. Sull’esperienza pre-morte, dopo l’operazione con la quale mi hanno innestato tre bypass, mi ha detto: «come puoi esserne sicuro»? Non lo so. So che la racconto. Mi sembra di aver visto la luce. Vai a capire...».
E il suo rapporto con gli avi? Lei ha scritto di aver sentito i loro spiriti in molte occasioni. Tra l’altro siamo proprio a cavallo di una ricorrenza come il giorno dei morti.
«Sento molto le ricorrenze del calendario. Il mio primo libro, Mammut, ho iniziato a scriverlo proprio il primo novembre».
Umorismo commovente nella scena in cui le ceneri di suo fratello (Gianni, cronista politico, tra l’altro de Il Giornale) vengono disperse nel canale e la famiglia in coro gli canta “ Gianni Gianni. Gianni del buco del...”.
«Ho scoperto che fa pensare a certi rituali popolari. In Calabria certi santi vengono buttati in acqua, come raccontano gli antropologi».
C’è una sorta di contraddizione. Sembra che in questo libro lei parli delle volte come un materialista, a volte come un aruspice.
«Non è una contraddizione. È che la realtà è fatta di molti aspetti. La realtà è molto più grande dell’io».