Danilo Taino, Corriere della Sera 2/11/2014, 2 novembre 2014
CON QUEL TRISTE NUMERO È IMPOSSIBILE CRESCERE
L’economia italiana è di fronte a un’alternativa secca: freddo realismo oppure estrema ambizione. Il dato che rivela questa realtà è la crescita del Pil potenziale, cioè quanto l’economia può crescere dati il capitale impiegato, la forza lavoro (demografia e tassi di partecipazione), il livello dell’efficienza del lavoro e il tasso di disoccupazione sotto il quale cresce l’inflazione. Bene: secondo il Fondo monetario internazionale, in Italia la crescita del Pil potenziale è stata negativa dello 0,4% nel 2013 , è negativa per lo 0,1% quest’anno e sarà zero il prossimo. Se teniamo conto che la crescita reale del Pil italiano è quasi sempre inferiore a quella potenziale, l’analisi realista porta a dire che, a condizioni strutturali invariate, la speranza di vedere impennare quella crescita che si invoca continuamente è minima.
La tendenza non è nuova. Negli Anni Ottanta , Novanta e nel primo decennio dei Duemila , secondo l’Ocse l’Italia ha vissuto il maggiore rallentamento della crescita del Pil potenziale di tutte le maggiori economie europee. Il risultato è che, tra tutti i Paesi dell’Ocse (i più ricchi), è l’unico ad avere visto diminuire il Pil pro capite tra il 2000 e il 2011 (a una media annua dello 0,1% ; in Germania è salito dell’ 1% all’anno, in Gran Bretagna dell’ 1,3 , in Francia dello 0,4 ). Detto diversamente: nelle condizioni strutturali in cui è, l’Italia non è in grado di crescere decentemente e nemmeno di evitare un peggioramento del benessere dei cittadini. Una realtà per cambiare la quale l’Europa — austerità o meno — può fare poco o nulla: è questione domestica.
Si può dunque stare nello scenario realista e saltellare attorno a questa situazione, sapendo che quando si dice crescita si intende zero virgola, quando non c’è davanti un meno. Oppure si può provare a essere ambiziosi, ad esempio cercando di attrarre investimenti. Riducendo, per dire, i tempi e i costi di una disputa commerciale, che da noi arriva a soluzione in media dopo 1.210 giorni e si porta via il 30% del valore del contenzioso, contro, per dire, 394 giorni in Germania a un costo del 14% . O aumentando la produttività del lavoro per unità di prodotto, che tra il 2000 e il 2012 ha perso (fonte Ocse) il 28% nei confronti della Germania, il 32% verso la Gran Bretagna, il 39% nei confronti degli Stati Uniti, persino un 10% sulla Francia. E via dicendo quello che tutti sappiamo. Tra scenario realista e scenario ambizioso non si vede terza via.