Sergio Romano, Corriere della Sera 2/11/2014, 2 novembre 2014
UN SORPRENDENTE COLLOQUIO FRA IL NUNZIO PAPALE E HITLER
Non riesco a trovare risposta all’interrogativo su che cosa fece effettivamente il Vaticano per aiutare gli ebrei: perché il Papa non intervenne mai? Vuole aiutarmi?
Renata Consoli
Roma
Cara signora,
Sull’argomento esistono ormai molti saggi storici, dal libro di Giovanni Miccoli su «I dilemmi e i silenzi di Pio XII» agli studi di Liliana Picciotto, da un famoso e discusso testo teatrale («Il Vicario» di Rolf Hochhuth) a un film altrettanto discusso («Amen» di Costa Gavras). Ma ho l’impressione che il campo rimanga ancora irrimediabilmente diviso fra testimoni dell’accusa e testimoni della difesa. Non hanno cambiato opinione quelli che accusano Pio XII di avere taciuto o parlato con eccessiva prudenza quando una netta presa di posizione della Santa Sede avrebbe forse costretto il governo nazista a interrompere la sua politica genocida. Non hanno cambiato opinione coloro che ricordano gli interventi diplomatici della Santa Sede, l’assistenza prestata agli ebrei dalle istituzioni ecclesiastiche a Roma e altrove, le manifestazioni di gratitudine, dopo la fine della guerra, di esponenti delle comunità ebraiche e di uomini politici israeliani. Ho l’impressione che le rispettive posizioni si siano congelate e che occorra forse attendere un’altra generazione perché il tema venga trattato con maggiore distacco.
Esiste tuttavia un episodio del novembre 1943 che concerne le iniziative del nunzio a Berlino, monsignore Cesare Orsenigo, che merita di essere raccontato. Fra i prelati che vivevano in Germania Orsenigo era quello maggiormente in grado di raccogliere informazioni provenienti dai Paesi in cui la persecuzione aveva ormai toccato le punte più alte. In un libro apparso nel 2006 presso le edizioni Città Nuova («Il cavalletto per la tortura»), la sua biografa, Monica Maria Biffi, scrive che nel settembre del 1943 il nunzio aveva chiesto alle autorità tedesche il permesso di visitare il lager di Theresienstadt in Cecoslovacchia, un campo «speciale» di cui le autorità tedesche si erano servite in passato per dimostrare alla Croce Rossa internazionale che gli ebrei erano trattati con umanità. Ma l’autorizzazione fu negata e Orsenigo decise allora di chiedere un colloquio con Hitler.
L’incontro ebbe luogo a Berchtesgaden in novembre e fu così descritto dal nunzio, qualche giorno dopo, in una conversazione con Edoardo Senatra, corrispondente dell’ Osservatore Romano da Berlino: «(…) appena ho fatto cenno alla questione ebraica, il nostro colloquio ha perso ogni serenità. Hitler mi ha girato le spalle, si è avvicinato alla finestra, ha preso a tamburellare con le dita sui vetri… mentre io continuavo a esporre le nostre lagnanze. D’improvviso Hitler si è voltato, ha raggiunto un tavolino dal quale ha afferrato un bicchiere che ha scaraventato per terra con un gesto iroso. Di fronte a un simile atteggiamento diplomatico, ho considerato finita la mia missione».
Questa descrizione del colloquio con Hitler sarebbe stata pubblicata dal «Petrus Blatt», organo della diocesi di Berlino, il 7 aprile 1963, e dall’ Osservatore della domenica del 28 giugno 1964. Non sembra risultare invece (salvo errore che sarei lieto di correggere) che il viaggio di Orsenigo a Berchtesgaden risulti dai documenti diplomatici della Santa Sede.