Sebastiano Vassalli, Corriere della Sera 2/11/2014, 2 novembre 2014
IL FATIDICO OMINO ERA UN INGEGNERE DELL’INDUSTRIA E ORA COMANDA LUI
Ai tempi del Gruppo 63: all’incirca una cinquantina d’anni fa, ma in pratica in un’era geologica precedente la nostra, ogni tanto si tornava a parlare di «morte del romanzo». Si ragionava ancora sul perché e il percome della letteratura. Si diceva: «In tutte le sale d’aspetto di tutte le stazioni ferroviarie c’è un omino, che se lo fate parlare vi dirà: “La mia vita è un romanzo”». Nessuno, allora, poteva immaginare che pian piano nelle stazioni ferroviarie sarebbero scomparse le sale d’aspetto. Che alcuni di quei locali, per esempio alla Stazione Centrale di Milano, se li sarebbe presi l’omino per venderci i suoi romanzi; e che nella letteratura e nella cultura sarebbe iniziata una nuova epoca, quella della dittatura dell’omino. Che avrebbe messo al bando i convegni e le inutili chiacchiere sul perché, il per chi e il come si scrive, e si sarebbe impadronito delle case editrici. Nel romanzo A che punto è la notte (1979), Carlo Fruttero e Franco Lucentini immaginano, alle pagine 109-110, un incontro-scontro tra l’editore di «Arte e Pensiero s.p.a.», cioè in pratica Giulio Einaudi, e l’ingegner Sergio Vicini della Fiat, cioè in pratica l’omino delle sale d’aspetto. Per ascoltare l’omino, l’editore riunisce i suoi migliori collaboratori, da Rossignolo (Bollati) a Monguzzi (Ponchiroli) a Lomagno (Davico Bonino); e l’ingegner Vicini, l’omino, in una stanza che improvvisamente è diventata gelida, pronuncia davanti a loro la frase fatidica: «La mia vita è un romanzo».