Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 2/11/2014, 2 novembre 2014
LA FERRARI IN BORSA VINCE LA FAMIGLIA L’INDUSTRIA ASPETTA
La Fca targata Usa-Uk-Nl annuncia una spumeggiante operazione sul capitale; davanti alla maestria finanziaria da tutti osannata, giù il cappello, ma per i risultati industriali dovremo aspettare. Il Chief Executive Officer (Ceo) Sergio Marchionne ha estratto dal cilindro, anziché un banale aumento di capitale da 4 miliardi che metterebbe in sicurezza Fca finanziando il piano industriale da 50 miliardi in 5 anni, un’operazione finanziaria complessa ma assai gradita al mercato. Il titolo è balzato in alto, brinda chiunque possieda incentivi a questo legati, la famiglia «regnante» pure, ma che il tutto convenga anche a Fca e ai suoi azionisti «ordinari» è da vedere.
I debiti Fca, esclusi quelli legati all’acquisto di auto, sono oltre 11 miliardi, dieci volte i margini al lordo di interessi e tasse; una ricapitalizzazione per abbatterli ci stava, ma il Ceo non voleva chiamare un aumento di capitale che risulterà superfluo se il piano andrà bene generando la cassa prevista. C’è un però: questa viene dopo gli investimenti che la generano, non prima.
L’operazione per Fca è la quadratura del cerchio. Essa cederà il 10% di Ferrari sul mercato e scinderà il resto della partecipazione in Ferrari a favore dei propri azionisti. Exor, che ha il 30% del capitale Fca (ma il 46% dei voti, per le magie del voto multiplo), controllerà in diretta Ferrari con il 24% (Piero Ferrari manterrà il 10%); come lei tutti gli azionisti Fca riceveranno azioni della «Rossa». Fca venderà poi azioni proprie (in portafoglio o derivanti dal recesso nella fusione Fiat-Chrysler) e emetterà un prestito convertendo per 2,5 miliardi. In tutto incasserà 4 miliardi, senza però fomentare dubbi sull’esecuzione del piano quinquennale.
Le azioni Ferrari in distribuzione incentiveranno a comprare azioni Fca o sottoscrivere il convertendo: lo farà anche Exor pagando 600 milioni, per 300 a carico della famiglia Agnelli/Elkann. L’operazione conviene alla famiglia: far calare la quota Exor in Fca, che produce auto con prezzi, e margini, troppo bassi. Ciò nel quadro di un grande accordo con altri produttori di alti volumi, che darà la «scala» necessaria a ricostituire i margini. La famiglia si ritirerà nell’altissimo di gamma di Ferrari, mantenendo solo un investimento finanziario in Fca; incerta, in tale quadro, la sorte di Alfa Romeo e Maserati, marche «alto di gamma» direttamente possedute da Fca, sul cui rilancio è incardinato l’ultimo, ambiziosissimo piano quinquennale.
L’operazione è firmata da JPMorgan Chase, il cui aiuto il Ceo ha apprezzato nei negoziati per la fusione Fiat-Chrysler; è evidente l’abilità sartoriale di chi ha disegnato un vestito su misura per le complesse esigenze dei controllanti. Non si vedono però i vantaggi per gli altri, cioè gli azionisti «ordinari», ma soprattutto l’oggetto stesso, dell’operazione: Fca. Il guadagno immediato per gli azionisti è sì evidente, ma altrettanto evidente è il depauperamento di Fca che ne deriva. Questa sarà privata del gioiello della corona per assecondare i comodi di Exor, che così sborserà molti meno soldi e si troverà in grembo il controllo di Ferrari. Chapeau !
La scelta di quotarsi a New York però cambierà le cose. Finché s’era nel lasco ecosistema italico, con due chiacchiere nelle stanze giuste tutto filava liscio. Sarebbe strano se Ceo e presidente Fiat, di casa negli Usa, ignorassero la litigiosità americana e il braccio, troppo lungo, dello zio Sam. Essi sanno che Fca, quotata a New York, va gestita dal Cda nell’interesse non degli azionisti, bensì di Fca stessa. Per gli Usa una quotata è entità autonoma con vita propria, affidata alle cure del suo Cda, che ha verso di lei un dovere fiduciario, non verso gli azionisti. Fca è società di diritto olandese, ma dei legalismi europei poco si cura lo zio Sam, che spesso li taglia come Alessandro il nodo gordiano; si veda la mega multa inflitta alla francese Bnp Paribas per aver violato le sanzioni Usa all’Iran.
Il Sole 24 Ore del 31 ottobre, nella stessa pagina in cui narra le mirabilie dello spin-off Ferrari, riporta anche il margine operativo di Volkswagen al 30 settembre: 9 miliardi. Se il Ceo tedesco annuncia margini dieci volte quelli di Fiat, non è perché è più bravo. La differenza sta in una politica pluridecennale di investimenti su tutta la gamma, in un rapporto con i sindacati che la cogestione agevola; non da ultimo, nella scelta di tenere sotto lo stesso tetto tutti i marchi, dalla «macchina del popolo» a Porsche e Lamborghini. Per Marchionne invece «le automobili sono paradossalmente incidentali per Ferrari, che è essenzialmente un marchio di lusso». C’è una bella differenza fra chi persegue il colpo finanziario ad effetto e chi cura l’interesse di lunga lena delle imprese: solo il secondo assicura lo sviluppo industriale, l’occupazione, in definitiva il livello economico e civile di un Paese.
Questa sì sarebbe una bella «riforma di struttura». Speriamo che i «disertori societari» come li chiama Obama, i comandanti che lasciano la barca in pericolo — talvolta avviene in Italia — ci risparmino i loro pensosi sermoni su cosa deve fare chi sulla barca crede doveroso restare.