Andrea Rossi, La Stampa 2/11/2014, 2 novembre 2014
IL PRESIDENTE DELLA CORTE “LA MORTE NON SI SANA CONDANNANDO INNOCENTI”
[Intervista a Luciano Panzani] –
Luciano Panzani, 64 anni, è in magistratura dal 1975. Ha fatto il pretore a Torino, ha presieduto il tribunale di Alba e poi quello di Torino, è stato consigliere di Cassazione. Oggi presiede la Corte d’Appello di Roma. Ieri si è sentito in dovere di difendere i suoi colleghi: «Non ho l’abitudine di intervenire, tanto meno di commentare le sentenze. Però sento che qualcuno vorrebbe far pagare i magistrati per i loro errori. È un concetto pericoloso».
Ha parlato di «gogna mediatica» citando anche il Buongiorno di Massimo Gramellini su La Stampa di ieri. Perché?
«Sento dire che, poiché la corte ha assolto gli imputati, allora vuol dire che Cucchi s’è ucciso da solo. Mi sembra che si stiano smarrendo i fondamentali».
Quali fondamentali?
«Quelli per cui il giudice penale deve accertare se ci siano prove sufficienti di responsabilità individuali. E, in caso contrario, assolvere. È esattamente ciò che i miei giudici hanno fatto anche questa volta. Questo è il nostro compito, per evitare di aggiungere orrore ad obbrobrio e far seguire a una morte ingiusta la condanna di persone di cui non si ritiene provata la responsabilità».
Come si sente un giudice nel non aver saputo restituire una verità a una morte così?
«Le parti civili e i famigliari hanno ragione nel lamentarsi di uno Stato che non ha saputo dare una risposta. Ma nemmeno per un attimo possiamo pensare che le persone paghino senza che sia stata accertata la loro piena responsabilità».
I fatti però sembrano chiari. Lo dice anche lei: quel ragazzo non è morto da solo.
«Il compito del processo penale non è dare ristoro alle vittime di un reato o alle loro famiglie. Purtroppo non sempre la ricostruzione dei fatti è nitida, basti vedere le conclusioni della procura fra il processo di primo grado e l’appello. In quel caso il giudice deve assolvere, non ha altra scelta».
La famiglia Cucchi ha sempre mostrato rispetto per e le istituzioni. Che cosa si sente di dire loro?
«Una persona è morta mentre era affidata alla custodia dello Stato. Lo Stato ne aveva la responsabilità e ora ne deve rispondere».
E come, se gli imputati sono stati assolti?
«Un conto è la responsabilità penale, che è individuale; altro è ammettere che in questa storia qualcosa non ha funzionato. Quel ragazzo ha subito percosse e lesioni che non fanno parte dell’iter normale di una detenzione. Non se le è procurate da solo. Durante il suo arresto si sono verificate come minimo alcune anomalie. Era compito dello Stato prendersi cura di lui. Non è successo e adesso, come Stato, come comunità, dobbiamo farcene carico. Ma, ripeto: si sta innescando un cortocircuito pericoloso, secondo cui poiché la famiglia Cucchi ha subito un danno ingiusto qualcuno debba pagare anche se la sua responsabilità non è stata pienamente accertata».
Un sindacalista di polizia ha detto: «Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze». Le che cosa pensa?
«Che ha detto una cosa sbagliata. Ripeto: lo Stato doveva tutelare quel ragazzo. Anche, eventualmente, da se stesso».
Andrea Rossi, La Stampa 2/11/2014