Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 02 Domenica calendario

IL MANAGER SI VEDE TRA LE RIGHE

David Rubenstein, co-fondatore di The Carlyle Group, private equity che gestisce quasi 154 miliardi di dollari, ha un "pallino": legge una dozzina di libri...a settimana. Phil Knight, creatore di Nike, ha una tale venerazione per i libri che l’accesso alla sua biblioteca personale è concessa solo a ospiti scalzi. E in Italia? Il dubbio che tra imprenditori e manager italiani il vizio di leggere - per rubare il titolo a un imperdibile saggio di Vittorio Sermonti (Rizzoli 2009) - non sia contemplato è forte. Ed è sostenuto da dati statistici. Come scrive Giovanni Solimine nel libro L’Italia che legge (Laterza 2010) a partire da dati Istat. Solimine ci fa scoprire che il 38,4% di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti legge testi strettamente professionali. Percentuale che scende drasticamente quando si tratta di accostarsi a romanzi, racconti, saggi su arte, cultura, politica, società.
Insomma, a molti capi d’impresa leggere non sembra piacere. Anche se sbagliano. Perché, come Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini hanno dimostrato, la cultura produce valore economico. In un mondo complesso ciò che si legge, così come ciò che si ascolta e si guarda, costruisce una bussola mentale indispensabile per affrontare i contesti, comprenderne le logiche, incidere su di esse, trovando idee e soluzioni innovative.
Forse, tra le cause della sottolettura di alcuni c’è uno storico pregiudizio italiano, figlio di Benedetto Croce, padre nobile della nostra cultura ma comunque padre imperfetto, che metteva le categorie della logica e del "fare" al di sotto delle altre. Il pregiudizio vuole che l’uomo o la donna d’azienda siano persone del "fare" e basta, dediti solo a star chiusi dentro tristi capannoni, oltre che a contare i soldi. Secondo la distorsione crociana, a questi "uomini gretti" l’opera lirica, il romanzo, la visione di un quadro (meglio se di proprietà, s’intende) servirebbero come strumento di elevazione, una sorta di medicamento per spiriti appannati dall’Utile. Così non è, perché la cultura in realtà coincide, anche, con la creazione di valore economico.
A dirci che oggi questa idea crociana di cultura sia stantia è il nipote di Gaetano Salvemini, Severino Salvemini, ordinario di organizzazione aziendale alla Bocconi, tra i massimi esperti italiani di economia della cultura, autore con Giuseppe Soda di Artwork & network. Reti organizzative e alleanze per lo sviluppo dell’industria culturale (Egea 2001). «Le persone d’azienda che si occupano di prodotti e mercati contemporanei devono per forza essere in sintonia con i linguaggi contemporanei», afferma Salvemini. «Se io devo capire le tendenze dei mercati e il gusto delle persone alle quali proporre prodotti, devo per forza leggere, per esempio, Il Cardellino, di Donna Tartt, un best seller mondiale che ci dice molto di cosa abiti la mente e il gusto di milioni di persone in questo momento». Per Salvemini, inoltre, la narrazione sta diventando un elemento chiave della professionalità manageriale contemporanea. «Il successo di imprenditori come Brunello Cucinelli e Oscar Farinetti si deve alla loro capacità di narrazione. Non vendono solo prodotti, ma soprattutto la storia, il fascino e l’estetica dei luoghi in cui questi prodotti sono stati concepiti».
Non è un caso, allora, se proprio Farinetti, - fondatore della catena Eataly e autore di Storie di coraggio, best seller da 70mila copie in Italia e 100mila all’estero (Mondadori nel 2013)- appartenga alla categoria dei "lettori forti" (ovvero per l’Istat coloro che leggono almeno 12 libri). Ed è da lui che cominciamo un piccolo "carotaggio" delle letture di manager e imprenditori. Farinetti confessa al Domenicale che «l’idea della narrazione per "vendere" il territorio mi viene proprio dal leggere. Del resto, se qualcosa non viene raccontato, non esiste. Eppure, leggo meno di quanto vorrei, appena 10-15 libri all’anno». Tra le ultime letture di Farinetti, Il padre infedele, di Antonio Scurati (Bompiani 2014), I barbari, raccolta di riflessioni di Alessandro Baricco (edita da Fandango nel 2006 e riedita da Feltrinelli nel 2013), Io Uccido, il mitico noir dello scomparso Giorgio Faletti (Baldini e Castoldi, 2002) e Fondata sulla Bellezza (Sperling&Kupfer 2014), un saggio del giornalista Emilio Casalini, che ha per sottotitolo Come far rinascere l’Italia a partire dalla sua vera ricchezza. «Sotto forma di inchiesta, questo bellissimo libro dimostra con fatti e numeri ciò che io ho sempre pensato: la bellezza è la prima qualità dell’Italia, è la sua stessa essenza. Da questo dato di fatto dobbiamo ripartire per far rinascere il Paese, anche economicamente. Tutto il mondo lo riconosce, ma non gli italiani, che continuano a calpestare, umiliare, nascondere o distruggere l’immenso patrimonio ambientale, paesaggistico e artistico che hanno ereditato». Farinetti è anche un appassionato lettore di classici. Nella sua biblioteca un posto d’onore spetta all’Idiota (utile, a parere di chi scrive, a evitare le insidie della volontà di autoaffermazione) e a tutti gli altri romanzi di Fëdor Dostoevskij.
Un’altra passione letteraria di Farinetti è Beppe Fenoglio, come lui originario di Alba e autore del Partigiano Johnny, La Malora, La paga del sabato, Una questione privata e altri capolavori che il patron di Eataly rilegge continuamente.
Grande appassionato di Dostoevskij (ma il suo preferito è I fratelli Karamazov) come pure di Goethe (il libro del cuore è Le affinità elettive) è pure Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria per l’education e storico pioniere della primavera imprenditoriale siciliana per la legalità. Lo Bello è un lettore talmente onnivoro e maniacale da sfuggire a ogni discorso generale. È l’eccezione che conferma la regola. Legge circa 200 volumi all’anno, e lo fa in ogni momento disponibile: prima di dormire, in aereo, sul treno, nelle pause tra una riunione e l’altra. Riesce a leggere perfino in automobile (ovviamente se non guida). «Capire l’uomo, i suoi difetti, le sue passioni è assolutamente indispensabile per chi fa impresa. E la letteratura è fra i migliori strumenti disponibili per riuscirci», dice Lo Bello. «La grande letteratura è indispensabile per tutti, imprenditori e non, perché è bellezza. E la bellezza dà senso e profondità al nostro vivere. Ti fa capire che la nostra vita va inventata, che c’è una possibilità di determinazione». Tra gli autori contemporanei più amati da Lo Bello ci sono Cormac McCarthy (i titoli del cuore sono La Strada e Cavalli selvaggi, entrambi editi in Italia da Einaudi), e il giapponese Haruki Murakami, recentemente in libreria con L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio (Einaudi). E poi il giovanissimo (classe 1983) Giuseppe Rizzo, autore di L’invenzione di Palermo (Perrone editore) e Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia (Feltrinelli).
E gli imprenditori manifatturieri? Quelli tutti fabbrica, capannone, operai, che cosa leggono? Se leggono, ovviamente…. Alessandro Spada, titolare della Vrv (apparecchi hi-tech per l’industria chimica, petrolchimica e del gas) capannoni in Brianza e circa cento miliani di euro di giro d’affari è uno di loro. Coordina anche i progetti sul manifatturiero di Assolombarda, di cui è consigliere delegato. Il suo libro del cuore è l’Elogio della follia, di Erasmo da Rotterdam, nel quale, come molti ricorderanno, la follia è una potente immagine per evocare la potenza delle passioni umane. «L’ho letto e riletto tante volte, fin da ragazzino», dice Spada, che in Erasmo vede anche l’elogio della passione imprenditoriale. Non a caso, il payoff di Vrv è proprio Passion At Work. Tra le letture più recenti di Spada Rete Padrona (Feltrinelli) di Federico Rampini, Non aver paura di tirare un calcio di rigore, di Antonio Cabrini (Rizzoli) e Open (Einaudi) di Andre Agassi, che «è molto più di una autobiografia. È una sorta di romanzo di formazione, nel quale il campione di tennis riesce a dare alla propria storia significati di carattere universale e anche accenti poetici. È un’opera sulla caduta e sulla redenzione», afferma con entusiasmo Spada. Non a caso, lo scrittore Alessando Baricco ha inserito Open (scritto con la collaborazione del premio Pulitzer J.R. Moehringer) tra le cinquanta migliori letture degli ultimi dieci anni. Un ottimo libro, insomma, per chi deve vivere fra macchinari e capannoni ma ha anche bisogno, e desiderio insopprimibile, di guardare al di là di essi.
Filippo Astone, Domenicale – Il Sole 24 Ore 2/11/2014