Andrea Kerbaker, Domenicale – Il Sole 24 Ore 2/11/2014, 2 novembre 2014
CARO LIBRO, QUANTO POCO MI RENDI...
L’altro giorno arriva una lettera del mio editore. Che gioia: sicuramente contiene i conti 2013 del mio penultimo saggio, pubblicato l’anno scorso. Buone notizie, immagino: il libro se l’è cavata, con due edizioni, favore di critica e vendite discrete. In tempi grami, una prestazione dignitosa, che i numeri ufficiali avrebbero certamente confermato. Apro la busta. Le copie vendute sono circa 3mila; abbastanza, per un saggio. I diritti residui sono di 297 euro e 99 centesimi lordi che, per generosità, arrotonderemo a 300. Sommati all’anticipo ricevuto l’anno scorso, 2.500 euro, fanno 2.800, lordi. Detratte le tasse, attorno ai 2.000.
Ora, io non scrivo per denaro: ho avuto la fortuna di esercitare altre professioni che mi permettono di non dipendere economicamente dalla scrittura; ma qualche ragionamento su queste cifre va pur fatto.
Il libro ha circa 250 pagine. Ogni capitolo ha comportato studi, e ricerche: per la prima stesura, direi circa due ore a pagina. Poi, le varie revisioni. Un’altra ora per pagina, a occhio. Siamo a circa tre ore a pagina: totale, 750. Un conto approssimato per difetto, visto che per quel testo, dedicato alle biblioteche, sono anche andato a esaminarne molte di persona, anche all’estero. Per carità, visite piacevolissime, ma ciascuna ha richiesto ore dedicate e trasferte (pagate da me, e non calcolate). Non è tutto. Un libro comporta una certa dose di promozione: interviste, presentazioni, eccetera. Attività oltremodo piacevoli; sono molto grato a chi mi ha invitato a destra e a manca (un nome per tutti: le Donne in corriera, splendide lettrici baresi, cortesia d’altri tempi). Essere invitati a parlare del proprio libro, accolti e riveriti, si può desiderare di più? No; eppure anche queste trasferte richiedono tempo. Una quindicina di presentazioni fuori dalla mia regione: altre 150 ore? Il totale sale a 900. Tiro le somme: 2.800 euro per quasi 1.000 ore di impegno; più o meno 3 euro lordi all’ora. Una cifra che, se offerta a un giovane stagiaire al primissimo impiego, viene giustamente considerata inadeguata, quando non offensiva. A volte, in questi frangenti, un autore ha gestito male i suoi diritti. Non nel mio caso. Ho, infatti, un ottimo agente che mi segue, e da sempre tratta le condizioni migliori. Né all’editore si può rimproverare nulla: in questa fase sta tagliando ovunque. Un solo esempio: all’ultimo Salone del Libro ha chiesto ai dipendenti di fare faticose trasferte quotidiane in treno per limare i costi degli alberghi. E gli altri componenti della catena distributiva, librerie in testa, non vivono certo momenti migliori. No, purtroppo la morale di questa piccola vicenda personale è un’altra. Oggi il lavoro della scrittura, se non è premiato da un successo di mercato che arride a pochissimi, non vale praticamente più niente. In un mondo che misura gli altri soprattutto in base al reddito, questo non valere nulla contribuisce ad abbassare la già bassa considerazione di cui oggi gode la categoria. Sarà per questo che, quando vado a un convegno con la qualifica di "scrittore" mi domandano sempre: «Basta così? Non vuoi aggiungere altro?». No, non voglio. Ma vorrei tanto che uno scrittore, anche uno di piccolo mercato, potesse vivere soltanto del suo lavoro. Questione di dignità, se queste parola disusata ha ancora un senso.
Andrea Kerbaker, Domenicale – Il Sole 24 Ore 2/11/2014