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 2014  novembre 02 Domenica calendario

IL ROMPICAPO DELL’IMMIGRAZIONE

Per voi è normale passeggiare per strada e vedere tante facce diverse, per lingua, colore della pelle, vestiti... La società, al tempo dei padri e dei nonni, era molto più omogenea. Ma l’immigrazione ha cambiato - e continua a cambiare - il tessuto sociale del Paese. Abbiamo già parlato, il 2 marzo di quest’anno, dell’immigrazione, ma bisogna tornarci sopra perché il fenomeno si estende. Prima di dire se l’immigrazione sia un bene o un male, bisogna dire che è qualcosa che non si può cambiare. È da gestire, contenere, controllare, ma, sostanzialmente, non si può evitare. Fa parte di un processo di globalizzazione che non si fermerà.
Le libertà economiche hanno diverse fattezze. C’è la libertà di intraprendere, la libertà di scambiare beni e servizi, la libertà di muovere capitali o intere fabbriche o linee di lavorazione da un Paese all’altro. E, infine, la libertà di muoversi delle persone. Quest’ultima è la più difficile. Avrete sentito parlare dei barconi carichi di immigrati clandestini che arrivano dal canale di Sicilia, e dei tragici annegamenti. Ma forse non sapete che in un passato non lontano non c’erano problemi, per le persone, a spostarsi da un Paese all’altro. Nell’Ottocento e anche nel primo Novecento partivano "bastimenti carichi di..." gente che emigrava liberamente da un Paese all’altro. Oggi i trasporti sono rapidi, agevoli e relativamente economici. Il "villaggio globale", con tv e Internet, fa vedere in un batter d’occhio come si vive in ogni parte del mondo. Non c’è da stupirsi se chi vive nella miseria dei Paesi poveri cerca con ogni mezzo di andare a cercar fortuna nei Paesi ricchi. Questi ultimi, tuttavia, non possono accogliere chiunque. Se non altro perché un ingresso troppo intenso e troppo rapido disturba il tessuto sociale, fa nascere movimenti di ripulsa che trovano eco a livello politico. Si corre il rischio di far venire al potere partiti xenofobi che chiudono le frontiere.
Dal punto di vista economico l’immigrazione è una buona cosa. Parlando in teoria, la libertà di movimento delle persone è auspicabile per la stessa ragione per cui è auspicabile la libertà di movimento delle merci o dei capitali: le risorse vanno ad affluire là dove sono più produttive. Ma le persone sono molto più di una risorsa. Sono anche membri di una comunità, di una ’polis’, con diritti e doveri. Se arriva una persona che non fa parte della comunità si pongono problemi: di sicurezza, di integrazione, di rapporti sociali. Questa è la ragione per cui l’immigrazione deve essere graduale, così da permettere un’assimilazione dei valori dei Paesi ospitanti e, da parte di questi ultimi, sviluppare una tolleranza verso altri valori e altri costumi.
L’immigrazione è una buona cosa anche per ragioni meno teoriche. Gli immigrati poveri nei Paesi ricchi fanno lavori che nessun altro vuol più fare, dai lavori domestici agli spazzini nelle strade, dagli inservienti negli ospizi ai camerieri. Non solo. Nei Paesi ricchi la popolazione invecchia e diminuisce. L’arrivo degli immigrati ferma questa diminuzione e rimpolpa quel flusso di redditi da cui si trae il sostentamento per i pensionati. In genere, secondo studi dell’Ocse, gli immigrati contribuiscono positivamente ai conti dello Stato: pagano di più, fra contributi e prestazioni, rispetto a quello che ricevono come sussidi e trasferimenti.
Abbiamo detto che l’immigrazione, perché sia di beneficio, deve essere graduale. Anno dopo anno, questa gradualità sta cambiando il volto etnico delle nazioni. Guardiamo a quante sono le persone nate fuori del Paese ospitante: a fine 2011 negli Usa erano più di 40 milioni, in Italia 5,5 milioni, in Germania 10,7, in Gran Bretagna 7,4, in Spagna (che ha meno abitanti dell’Italia) 6,7 milioni (quasi il 15% della popolazione). In Svizzera e in Australia il 27% della popolazione non è nata nel Paese. In Svezia e in Norvegia il 12-15% della popolazione è ’straniera’: percentuali superiori a quelle dell’Italia, dove quei 5,5 milioni costituiscono il 9% della popolazione.
Come vedete dai grafici, l’immigrazione continua. Solo gli Stati Uniti accolgono più di un milione di immigrati l’anno, e l’Italia più della Germania, anche se bisogna dire che quelli che arrivano in Italia spesso non si fermano e finiscono anche in altri Paesi dell’Unione europea. Queste cifre segnano un aumento troppo rapido della popolazione immigrata? Si sarebbe tentati di rispondere di sì, a giudicare dal rapido avanzare, in molti Paesi di movimenti politici che chiedono, spesso con accenti accesi e razzisti, di fermare l’immigrazione e di rimandare indietro gli immigrati.
La sfida per i nostri Paesi è quella di fare del fenomeno dell’immigrazione qualcosa che sia positivo sia per gli immigrati che per il Paese ospitante. Una soluzione è quella di ridurre l’immigrazione all’origine, contribuendo allo sviluppo dei Paesi di provenienza. Un’altra soluzione è quella di migliorare le strutture di accoglienza ma allo stesso tempo controllare strettamente gli arrivi clandestini. Ogni Paese cerca faticosamente la miscela giusta di interventi. E ogni Paese, a cominciare dal nostro, dovrebbe ricordarsi che c’era un tempo in cui eravamo noi a emigrare, spinti da miseria o persecuzioni.
fabrizio@bigpond.net.au
Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 2/11/2014