Beda Romano, Il Sole 24 Ore 2/11/2014, 2 novembre 2014
PIÙ DELLA SOVRANITÀ POTÈ LA GRANDE CRISI FINANZIARIA
BRUXELLES.
Solo chi non ha memoria può sottovalutare l’importanza del passaggio dalle autorità nazionali alla Bce della vigilanza creditizia nella zona euro. È tra le conseguenze politicamente più rilevanti della crisi finanziaria, debitoria, economica; giunge dopo un lungo dibattito iniziato nei primi anni 90. Poco importa se il progetto contiene fragilità e scappatoie. Si tratta di un tassello cruciale della nascente unione bancaria e di una straordinaria concessione di sovranità, in passato bloccata da governi nazionali e banche centrali.
La decisione di affidare all’istituto monetario l’impegno a vigilare sulle banche della zona euro è stata presa dai capi di stato e di governo in un vertice il 28-29 giugno 2012. La Grecia era drammaticamente in bilico, e l’Italia aveva cambiato da poco governo. Mercati finanziari e partner europei avevano contribuito all’uscita di scena di Silvio Berlusconi e all’arrivo al potere di un governo guidato da un ex professore universitario, Mario Monti. Dinanzi al possibile tracollo della zona euro, i paesi accettavano ciò che non avevano mai accettato prima.
D’altronde, la crisi di IKB in Germania, di Laiki a Cipro o di Bankia in Spagna aveva mostrato tutti i limiti della vigilanza nazionale. Eppure, già negli anni 90 era stata posta la questione di una sorveglianza unica. Come spiegava nel 2012 Harold James in Making the European Monetary Union, molti paesi si opposero a una vigilanza centralizzata. In cuor loro sapevano che una area retta da una sola valuta e da una sola banca centrale dovesse avere una sola vigilanza creditizia, ma ne temevano le conseguenze: la perdita di controllo sulle proprie banche.
La posizione tedesca in questo frangente faceva comodo a molti, se non a tutti. La Germania non voleva affidare alla Bce i compiti di vigilanza bancaria perché temeva che la sorveglianza creditizia inquinasse in un modo o nell’altro l’indipendenza della politica monetaria. La filosofia tedesca era relativamente recente. Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la Reichsbank era responsabile della vigilanza creditizia, sulla scia della grave crisi finanziaria del 1873. Il periodo di iperinflazione negli anni 20 modificò l’atteggiamento tedesco.
Di conseguenza, il Trattato di Maastricht vide la luce lasciando alle autorità nazionali il compito della vigilanza. Pochi mesi dopo la nascita dell’euro, nel 1999, Tommaso Padoa-Schioppa, membro del comitato esecutivo della Bce, propose un accentramento delle competenze. In un libro pubblicato 10 anni dopo, egli spiegò che in quella circostanza le banche centrali nazionali si opposero, preoccupate dalla perdita di potere. Nel 2007, lo stesso Padoa-Schioppa, diventato ministro dell’economia italiano, rimise la questione sul tavolo dell’Ecofin. Questa volta furono i governi a opporsi.
D’altro canto, le banche sono la cinghia di trasmissione tra politica ed economia. «Il passaggio della vigilanza alla Bce - commentava di recente Nicolas Véron, ricercatore di Bruegel - comporterà un graduale indebolimento di questi legami». È vero che la nuova vigilanza prevede il controllo diretto della Bce solo su oltre 120 banche importanti, ma l’istituto ha il potere di avocare a sé qualsiasi dossier. Per venire incontro ai timori di possibile influenza tra vigilanza bancaria e politica monetaria è stata creata una struttura decisionale parallela.
In un articolo il settimanale Die Zeit ha messo l’accento proprio su una divisione dei compiti all’interno della Bce che agli occhi di molti tedeschi appare ancora incerta. In compenso, la Bce potrà contare su un sistema unico di gestione delle crisi bancarie (noto con l’acronimo inglese Srm), voluto per evitare che l’istituto monetario sia chiamato a usare il proprio denaro per salvare un istituto di credito. Oltre a spostare l’onere del salvataggio sui governi, il nuovo assetto prevede una graduale condivisione dei costi.
Come ha spiegato in giugno Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza bancaria alla Bce, «per la prima volta nella storia dell’Unione avremo un supervisore con un vero mandato europeo e una responsabilità collettiva». In occasione degli ultimi stress-test, le banche centrali nazionali hanno usato quanto possibile la discrezionalità concessa loro dalle regole europee, nell’ultimo disperato tentativo di difendere le proprie banche. Una ragione in più perché molti sperano che la Bce riesca a spezzare il legame politico che lega gli istituti creditizi al loro establishment locale.
Beda Romano, Il Sole 24 Ore 2/11/2014