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 2014  novembre 01 Sabato calendario

I SONNAMBULI CHE MINANO GLI ACCORDI CON LA RUSSIA


Il giurista americano Weiler denuncia che il declino dell’autorevolezza degli Usa rischia di rendere il mondo ingovernabile. Una ragione di più per ripensare l’Europa che non riesce a superare la frammentazione e la crisi economica, che la rendono esposta alla forza dirompente dei competitori asiatici. L’unica via non è quella di trattare con la Russia che dell’Europa fa parte? Le sue risorse e le potenzialità del suo mercato sarebbero cruciali. Varrebbe la pena di rifletterci con coraggio e fantasia, abbiamo queste qualità?
Domenico Spedale

Caro Spedale,
È una idea antica che ha attratto soprattutto l’industria tedesca, da sempre il maggior partner economico della Russia, ma ha avuto anche entusiasti partigiani in Italia. Nel 1914, alla vigilia della Grande guerra, un fantasioso imprenditore italiano, Riccardo Gualino, era a Pietroburgo, pronto a concludere un grande accordo edilizio per la urbanizzazione di un’isola sulla Neva. Lo scoppio del conflitto mandò all’aria quell’ambizioso progetto, ma nel 1921, quando ancora non esistevano relazioni diplomatiche con la Russia sovietica, un altro industriale italiano, Franco Marinotti, aprì a Mosca un ufficio per creare una corrente di scambi con il nuovo Stato nato dalla rivoluzione.
Più tardi, quando Stalin lanciò il primo piano quinquennale, alla fine degli anni Venti, un’azienda degli Agnelli, la Riv, costruì a Mosca una grande fabbrica di cuscinetti a sfere. Poco più di trent’anni dopo gli Agnelli, rappresentati da Vittorio Valletta, tornarono sul mercato sovietico con un progetto per la costruzione di una grande fabbrica di automobili in una città del Volga che sarebbe stata intitolata al nome di Palmiro Togliatti. Ma il partenariato di cui lei parla nella sua lettera, caro Spedale, era già stato abbozzato dagli accordi che Enrico Mattei aveva concluso con la dirigenza sovietica per la fornitura di petrolio all’industria italiana. Quegli accordi aprivano prospettive che l’Italia avrebbe cercato di cogliere quando lo Stato sovietico dette una prima risposta alla fame di consumi che si stava manifestando nella società russa dopo le riforme di Nikita Kruscev. Negli anni della Perestrojka l’Italia, insieme alla Germania e alla Finlandia, era tra i Paesi occidentali a cui i dirigenti dell’economia sovietica maggiormente si indirizzavano per la fornitura di fabbriche «chiavi in mano».
L’idea del partenariato è fondata sull’esistenza di una straordinaria complementarietà fra l’economia russa e quella dei Paesi dell’Unione Europea. Noi abbiamo un tessuto industriale molto esteso e vario, ma abbiamo ormai intaccato il capitale di materie prime che rese possibili le prime rivoluzioni industriali. La Russia è ricca di materie prime, ma ha un apparato industriale antiquato e insufficiente. L’Ue è complessivamente un’area tecnologicamente avanzata, mentre la Russia soffre ancora di un ritardo che l’avvento della economia di mercato, dopo la morte del comunismo, ha colmato solo parzialmente. Abbiamo ottime ragioni per creare insieme un rapporto di collaborazione che avrebbe anche buone ricadute politiche.
Mi chiedo se i partigiani delle sanzioni siano deliberatamente contrari a questa prospettiva o non siano piuttosto semplicemente, miopi. Nel corso di un incontro tra uomini d’affari, studiosi e giornalisti di numerosi Paesi che si è tenuto nei pressi di Sochi qualche giorno fa, un membro della Brookings Institution, Clifford Gaddy, ha detto che le sanzioni potrebbero danneggiare le democrazie occidentali più di quanto danneggino la Russia e che certi uomini di Stato gli sembrano «sonnambuli». È la parola con cui uno storico australiano, Christopher Clark, ha definito la classe politica europea alla vigilia della Prima guerra mondiale.