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 2014  novembre 01 Sabato calendario

NEI QUARTIERI DOVE SI ESCE CON LA PAURA DI RITROVARE L’APPARTAMENTO OCCUPATO


MILANO Un pezzo di cemento caduto sul pavimento, fenditure nere si allungano fino a terra nell’intonaco rosa, la scatola della presa elettrica penzola appesa a un filo.
La porta resisteva. E così hanno spaccato il muro. Via Ricciarelli, quartiere San Siro, sabato 25 ottobre, ore 15: tre ragazze rom stanno sedute sul bordo dell’aiuola nel cortile, la madre tiene in mano due sacchetti, il poliziotto restituisce i documenti. Sgomberate «in flagranza». Avevano occupato nella notte. Questa però non è un’occupazione, nella denuncia il reato verrà classificato come «violazione di domicilio». Perché quell’alloggio popolare, a poche centinaia di metri dallo stadio «Meazza» di Milano, era abitato. Assegnato a un uomo ricoverato in ospedale per problemi psichiatrici.
Le denunce del genere, nell’ultimo anno, sono più di 50. È la frontiera estrema della battaglia per la casa che si combatte ogni giorno nelle periferie di Milano. Basta spostare di poco lo sguardo dai cantieri dell’Expo per vedere l’altra città, quella delle periferie. Che sta affondando in un conflitto sociale vicino al punto di rottura.
La rincorsa
Ecco, stiamo a quel sabato pomeriggio: da San Siro l’ispettore dell’Aler, azienda milanese delle case popolari, viene chiamato per un’occupazione in via Etruschi. Quartiere Calvairate. Porta sfondata. Dentro, un rifugiato politico georgiano, con la moglie e un figlio. Rifiuta di uscire. Denunciato. Passa un’ora. Quando l’ispettore esce, in cortile si avvicina la custode: «Guarda che hanno occupato anche nell’altra scala». Quarto piano: la porta era stata già sfondata in passato, l’ingresso blindato con una lastra d’acciaio. Questa è una nuova occupazione. Ragazza rom. Si rifiuta di uscire. Ha tre bambini. Non può essere allontanata con la forza. Così le case popolari di Milano scivolano nell’illegalità.
Per avere un’idea: solo nella settimana tra il 20 e il 26 ottobre, gli ispettori dell’Aler che lavorano 24 ore su 24 sono intervenuti su 39 tentativi di occupazione abusiva; 16 sono invece le occupazioni «riuscite». Più di due al giorno. Ed è così da due anni: 1.400 case occupate dall’inizio del 2013; più 870 sgomberi «in flagranza» (quando gli ispettori riescono a liberare l’alloggio quasi «in diretta», o gli abusivi scappano prima che qualcuno chiami il 112). Per avere un termine di paragone: nel 2011 le nuove occupazioni erano «appena» 99, gli sgomberi «in flagranza» 557. Eccolo, il disastro della Milano popolare.
La decadenza
È un disastro che ha spiegazioni abbastanza chiare. L’Aler, azienda pubblica della Regione Lombardia, ha chiuso il 2013 con un buco di 60 milioni in cassa e 90 milioni di arretrati con i fornitori. Vuol dire bloccare le manutenzioni, le ristrutturazioni dei palazzi, e anche quelle interne delle case: per questo molti alloggi non possono essere assegnati a nuovi inquilini (in lista d’attesa ci sono oltre 20 mila famiglie). Così restano vuoti, e diventano «preda» degli abusivi.
Il rosso profondo dei bilanci Aler è stato ereditato dalle passate gestioni, quelle che a metà anni 2000 avevano costituito una piccola società partecipata con l’obiettivo di andare a ristrutturare gli stabili storici di Tripoli, negli anni in cui Gheddafi veniva ospitato a Roma con «amazzoni» e tende beduine. L’assessore regionale alla casa, Paola Bulbarelli, ha sbloccato i fondi per ristrutturare 400 case, più 30 milioni freschi per le casse Aler. Il nuovo presidente, l’ex prefetto Gian Valerio Lombardi, ha studiato un piano di risanamento che prevede la vendita di 6.700 alloggi. Ma c’è il rischio che tutto questo non basterà.
Un inquilino su tre, nelle case popolari, non paga né l’affitto, né le spese per riscaldamento e pulizie. L’Aler gestisce le 40 mila case popolari di sua proprietà, più le 29 mila del Comune. Una città nella città. Il totale degli arretrati che l’azienda dovrebbe riscuotere ha raggiunto la cifra stratosferica di 306 milioni, due terzi dei quali sono ormai dati per «irrecuperabili», anche se solo nel 2013 l’azienda ha inviato 160 mila solleciti di pagamento. La commissione d’inchiesta istituita dal presidente della Lombardia, Roberto Maroni, potrebbe chiarire cosa sia accaduto in passato. Il futuro invece è precario, come la struttura del palazzo di via Lorenteggio, storico quartiere operaio, che era stato occupato per intero da un gruppo di rom: l’estate scorsa è crollato un balcone. E solo per un caso non c’era nessuno in cortile.
Il divorzio
Il sindaco Giuliano Pisapia l’ha ripetuto spesso nelle riunioni con la sua giunta: «Sulla casa non va bene, bisogna fare di più». Si sono separati: dopo la rottura della convenzione con l’Aler, il Comune ha deciso di gestire «in proprio» le sue 29 mila case popolari. Obiettivo: migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Anche perché le prossime elezioni si decideranno in quei quartieri, dove gli abusivi bruciano le porte di casa agli inquilini che protestano. Così la Lega ha lanciato una campagna con la frase del segretario, Matteo Salvini: «Nei caseggiati popolari ci vuole l’esercito, per sgomberare gli occupanti porta a porta». Proposta buona, forse, per toccare la pancia degli inquilini (elettori) esasperati. Come l’anziana che vive tra abusivi e spacciatori in un alloggio del Giambellino, e dice: «Non crescono più neppure i fiori in cortile. Ormai ci odia anche la natura».