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 2014  novembre 01 Sabato calendario

L’ORA DEL POLITICO DI «PROFESSIONE» IL PESO DELLA MARGHERITA AL GOVERNO


ROMA L’unico festeggiamento che Paolo Gentiloni aveva in programma era il suo sessantesimo compleanno, il 22 novembre. Un’età talmente veneranda ai tempi del Giovane Matteo da non permettergli di accarezzare neppure in sogno la candida e imponente sagoma della Farnesina.
«Sarà una donna...» ha ripetuto fino alla vigilia ai colleghi giornalisti. E così, quando risponde al cellulare che è mattina e la notizia non è ancora ufficiale, il nuovo capo della diplomazia sembra sinceramente spiazzato: «È una grande felicità, una grande sorpresa. Non me lo aspettavo assolutamente». Poi si chiude nel suo ufficio di deputato e per qualche ora abbandona i telefoni. Un black out tutto politico: «Non mi va di parlare prima di cominciare a lavorare». E perfino al suo «maestro» Rutelli concede appena una manciata di parole: «Grazie France’, poi te racconto». Il tempo di tirar giù dall’armadio l’abito scuro e pettinarsi il ciuffo e alle 18, con la moglie Emanuela Mauro, sale al Colle. La sua prima volta, 2006, fu con Prodi alle Comunicazioni, due anni per tentare la rivoluzione della Rai e, secondo gli avversari di allora, «provare ad ammazzare Mediaset». In realtà, in quasi 5 lustri di carriera, Gentiloni si è fatto più amici che nemici.
«Ci è andata bene!» commenta da destra Maurizio Gasparri, che lo incrociò sui banchi del Tasso. Sono gli anni 70 e al classico Gentiloni concilia la politica e lo studio, dopo essere stato, come raccontò a Magazine , «il tipico montessoriano cattolico». Gli amici lo descrivono secchione, colto, divoratore di libri e delizie ga-stronomiche. Ama il cinema e lo sci di fondo, va per mostre ed esce a cena con gli amici Giachetti, Realacci e Anzaldi. Spesso e volentieri, quando deve far scongiuri prima di una sfida elettorale, si fa battere a tennis da Realacci, che non si stanca di dipingerlo come «una persona straordinariamente per bene, che non sgomita e però è molto solida». E Giachetti: «Paolo è la prova che Renzi non si circonda solo di yes men». Giornalista laureato in Scienze politiche, si diletta da blogger. Ha diretto Nuova ecologia e scritto per L’Ora , Pace e Guerra , L’Espresso , Europa . Dopo essere stato assessore al Giubileo negli anni 90, deputato dal 2001, presidente della Vigilanza Rai con applauso bipartisan, è balzato dalla commissione Esteri al ministero. La rivincita di un politico di professione dopo «la batosta» delle primarie di Roma, dove nel 2013 si fermò al 15% dietro Marino e Sassoli. Colpa dei modi felpati e di una discesa in campo sin troppo soft, com’è nel suo stile: «Non amo le autocandidature». Adesso potrà mettere alla prova la sua conoscenza delle lingue e le sue arti diplomatiche, esercitate per lo più dietro le quinte. In Campidoglio ha cominciato da portavoce di Rutelli, per diventarne la vera eminenza grigia. Lassù, dove già lo chiamavano il «cardinale», ha incontrato tutti, da Fidel Castro a papa Wojtyla. Presidente della sezione Italia Stati Uniti dell’Unione Interparlamentare, è stato folgorato dallo «charme» di Blair, Clinton e poi di Obama, ma la sua politica estera non sarà banalmente «americana».
Non rinnega l’adolescenza comunista, ma oggi si sente liberale e riformista. La sua carriera poggia su quattro pilastri. Rutelli — la cui ex Margherita ha piazzato al governo ministri e sottosegretari —, Prodi, Veltroni e Renzi, che ha subito riconosciuto come «un leader di rottura». È un pioniere del renzismo e anche i fedelissimi di Matteo ammettono che «gli ha dato una grande mano per scalare il Pd». Sorridente, ironico e realista fin quasi al cinismo, ha il doppio cognome e non lo usa, perché da buon radical chic ama l’understatement. All’anagrafe fa Gentiloni Silverj, famiglia di conti marchigiani. Ma nessuno lo ha mai sentito vantarsi della parentela con quel Vincenzo Ottorino Gentiloni, che nel 1913 firmò l’omonimo «patto» con Giolitti.