Danilo Taino, Corriere della Sera 1/11/2014, 1 novembre 2014
PIÙ OCCUPATI E DISOCCUPATI LE STATISTICHE DELLA DISCORDIA
Strabismi statistici dei momenti di crisi. Dice l’Istat che aumentano l’occupazione e la disoccupazione. Il che, a prima vista, è come dire che aumenta la temperatura e fa più freddo. In realtà, succede che gli ingressi (o i ritorni) nel mercato del lavoro fanno sì che il numero di occupati cresca di 82 mila unità; allo stesso tempo, però, il tasso di disoccupazione sale di un po’, al 12,6%, in quanto ci sono più persone in cerca di lavoro.
Secondo gli ultimi dati Eurobarometro, l’orientamento della popolazione giovanile nei confronti dell’Europa continua a rimanere positivo. Per il 70% degli under trenta, l’Unione europea costituisce un fattore di forza. Nonostante la problematicità del processo di unificazione, con un buon grado di realismo, i giovani insistono nel far coincidere il loro futuro con quello europeo. E questo sia a livello della loro vita personale (sono la possibilità di viaggiare e di lavorare in Paesi diversi e l’arricchimento derivante dai contatti con altri mondi culturali gli aspetti considerati più positivamente) sia a livello delle istituzioni (l’Ue viene vista come una struttura indispensabile per avere voce sulla scena internazionale).
Questa valutazione positiva si associa a un giudizio ben più critico del modo in cui l’Europa sta gestendo la crisi. Di fronte alle difficoltà di questi anni, la maggioranza della popolazione giovanile ritiene che l’Europa stia andando nella direzione sbagliata. I dati dicono che, tra le nuove generazioni, si vuole l’Europa ma la si vorrebbe diversa. Da questo punto di vista, il momento storico che stiamo attraversando nasconde un’occasione per radicare più in profondità il senso di una comune cittadinanza europea.
In un celebre saggio il filosofo tedesco E.W. Bockenforde ha affermato che i sistemi politici hanno bisogno di premesse culturali per potersi formare e rigenerare. Il diritto può sostenere e proteggere normativamente regole di vita e atteggiamenti etici ad esso preesistenti; a certe condizioni, può anche essere in grado di contribuire a mantenere desta la coscienza etica di una società. Ma non può creare dal nulla tale coscienza. Per questo, le norme giuridiche devono trovare nella società il fondamento che le sostiene. La questione è quanto mai attuale se pensiamo all’Europa di oggi. Con istituzioni che, lontane dalla vita delle persone, fanno fatica a radicarsi nella coscienza diffusa.
Si capisce quindi l’impulso che potrebbe dare alla costruzione di uno spirito comune l’istituzione di un servizio civile universale aperto a tutti i ragazzi e le ragazze europee. Una proposta che il governo italiano, nel quadro delle iniziative del semestre di presidenza dell’Unione, ha lanciato con la Conferenza che si è chiusa ieri a Milano. Ci si potrebbe chiedere se una tale proposta possa trovare o meno terreno fertile. Ma sempre i dati dell’Eurobarometro ci dicono che più di un terzo dei giovani europei ha un’idea attiva di democrazia, dove la disponibilità a dare il proprio personale contributo alla qualità della vita associata occupa un posto centrale: che sia la difesa dell’ambiente, la salvaguardia del patrimonio artistico o l’inclusione dei gruppi marginali, sono tanti i giovani che vogliono darsi da fare concretamente.
L’istituzione di un servizio civile universale potrebbe dare corpo a questi orientamenti, permettendo a una quota significativa di giovani di sentirsi a tutti gli effetti cittadini europei. Camminando su questa via, l’Europa potrebbe fare dei grandi passi in avanti verso la costruzione di una coscienza politica che J. Habermas chiamerebbe «post-nazionale»: centrata, cioè, non sulla difesa dei confini (come quella forgiata dal servizio militare obbligatorio del XX secolo), ma sulla partecipazione civile. A suggerire di intraprendere questa strada dovrebbe essere il grande successo del programma Erasmus: dalla sua introduzione (1991), oltre 3 milioni di giovani hanno avuto la possibilità di svolgere all’estero una parte del proprio percorso accademico. Una mobilità studentesca che è andata crescendo e che nel 2013 ha raggiunto la partecipazione record di 250.000 giovani.
Un programma di servizio civile europeo si muoverebbe su questo stesso terreno, facendo fare esperienza concreta della appartenenza europea, aprendo occasioni preziose di formazione dei giovani. Soprattutto per quella quota che fatica ad inserirsi nel mercato del lavoro. Rafforzando, infine, il volontariato e il terzo settore, due anelli strategici per gli equilibri complessivi delle società avanzate. Tutto ciò a condizione che si faccia sul serio, senza limitarsi a dichiarazioni di principio. Oltre a risorse economiche, occorre un adeguato investimento politico in un progetto che potrebbe cambiare il destino dei nostri figli.