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 2014  novembre 02 Domenica calendario

SEMPRE PIÙ ROSSO IL FUTURO DI LANDINI


È più adatto Paolo Gentiloni a fare il ministro degli Esteri oppure Maurizio Landini a prende-
re le redini dell’intera Cgil? Può sembrare un quiz privo di senso perché mette a confronto due italiani molto diversi e incarichi di peso non equivalente. Guidare la Farnesina è un mestiere che conta poco. In Europa l’Italia viene considerata la sorella povera anche rispetto ad altre nazioni messe peggio di noi. Per esempio, la Francia che vanta forze armate di tutto rispetto ed è una potenza nucleare. Del resto in casa nostra la politica estera la decide Matteo Renzi, un premier pigliatutto come non se ne vedevano da anni. Al tranquillo Gentiloni, costretto a rinunciare al suo dolce far niente e ai talkshow televisivi, resteranno due sole patate bollenti: la Libia e la sorte dei marò in India.
Invece mi sembra quasi scontato il percorso di Landini. Se vedremo un altro autunno caldo, il protagonista sarà lui. Oggi è il segretario della Fiom, il sindacato rosso dei metalmeccanici, l’unico che davvero pesi. Ma è facile prevedere che quando sarà scaduto il mandato di Susanna Camusso, sarà lui a guidare l’intera Cgil.
È possibile che nel palazzone di Corso d’Italia qualche boss si prepari a sgambettarlo. Ma nel sindacato, di solito, la selezione è migliore di quella che vediamo nei partiti e nei governi. Per un principio di autodifesa. Quando la crisi economica diventa feroce, è meglio lasciare a casa gli incompetenti. Renzi non ha fatto così. E prima o poi ne pagherà lo scotto.
REGGIANO DOC
Perché Landini è forte? Prima ancora delle doti caratteriali, a cominciare da un decisionismo cocciuto simile a quello del premier, conta il territorio nel quale è nato nel 1961 e ha mosso i primi passi di militante politico: Castelnovo ne’ Monti, un’area cruciale della guerra civile italiana. Siamo in provincia di Reggio Emilia, tra le più rosse d’Italia. Qui la guerra interna è durata a lungo, ben oltre il 25 aprile 1945. Alla mano durissima delle Garibaldi durante l’occupazione, si aggiunsero le vendette dopo la Liberazione. I morti ammazzati furono davvero tanti. Nel settembre 1946, lo stesso Togliatti fu costretto a recarsi a Reggio Emilia per tagliare la testa al vertice reggiano del partito. Guidato da un segretario federale diventato pazzo per la sifilide curata male.
Il segretario della Fiom conosce il retroterra storico che ha alle spalle? Penso di sì. È un uomo con una buona testa e avrà imparato molto pur costretto a interrompere gli studi e a mettersi al lavoro all’età di quindici anni. E non c’è dubbio che sappia anche quale sia stato il Pci reggiano che lo aveva tra i militanti giovani più promettenti. Alla vigilia degli anni Ottanta il comunismo di quell’area era un blocco strapotente e compatto. Dove il dissenso veniva visto come il diavolo in chiesa. Una chiesa che decideva tutto, a cominciare dalla vita economica e dai vertici amministrativi pubblici.
Subito dopo il Partitone rosso, veniva la Cgil, un altro potere di ferro. A volte guidato da dirigenti e da un apparato prigionieri del proprio orgoglio, reso arrogante da un’ideologia totalitaria. Se Landini fosse rimasto nel Reggiano, forse avrebbe subito anche lui le angherie patite da altri giovani sindacalisti più consapevoli di un’Italia che mutava. Ma la fortuna, ossia la Fiom, lo aiutò, mandandolo a Bologna dove il giovane saldatore avrebbe incontrato il proprio maestro sindacale: Claudio Sabattini, in seguito diventato il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil.
Sabattini era un personaggio ricco di enigmi. Nato nel 1938 e oggi scomparso, veni-
va chiamato dai suoi compagni il Bruciato, poiché un incidente gli aveva segnato il volto. Ma il soprannome politico era un altro: il Sandinista. In omaggio ad A.C. Sandino, il capo del Fronte di liberazione del Nicaragua, l’eroe della lotta contro l’occupazione americana.
CON IL BRUCIATO
Il Bruciato era un intellettuale comunista del tipo radicale, con Pietro Ingrao come
guida ideale. Pensava che la missione vera del sindacato fosse di combattere il capitalismo e cambiare la società.
Non era un uomo fortunato. Dopo aver diretto la Fiom a Bologna e poi a Brescia, venne inviato a Torino per seguire la Fiat e il comparto dell’auto. Era la fine degli anni Settanta. La Feroce stava immersa in una crisi quasi mortale. Per l’eccesso di manodopera, l’esasperata conflittualità interna e l’offensiva delle Brigate rosse. Nel settembre 1979 fu
ucciso un dirigente Fiat, Carlo Ghiglieno. L’anno successivo vide il lungo blocco di Mirafiori, stroncato in ottobre dalla marcia dei quarantamila che volevano lavorare. La carriera di Sabattini sembrava finita. Invece nel 1994 venne eletto segretario generale della Fiom. Il mandato era di otto anni. Dopo di lui, nel 2002 a guidare i meccanici fu scelto Gianni Rinaldini, cresciuto nella Cgil di Reggio Emilia. Poi il testimone passò a Landini.
Era il 1 ̊ giugno 2010. Il compagno Maurizio fu scelto con un voto massiccio dal comitato centrale dei meccanici: 124 voti a favore, un solo no e 40 astenuti. Da quel momento la Fiom è cambiata. Ha un seguito più numeroso di qualsiasi partito: 370mila iscritti. Non è mai stata sfiorata da uno scandalo. Il suo obiettivo generale è sempre lo stesso del Bruciato: cambiare la società anche all’esterno della fabbrica.
Scomparso il colosso di Agnelli e Romiti, il nemico numero di Landini è diventato Sergio Marchionne. Lo svizzero che ha portato la nuova Fiat negli Stati Uniti, con il cervello fiscale e di comando in Olanda e in Inghilterra. Lo conferma l’invettiva di Susanna Camusso. Lo riconferma giorno per giorno lo stesso Landini. Nel frattempo, l’ex saldatore della montagna reggiana ha curato molto la propria immagine.
IL PARTITO NO
Chi lo consiglia? Landini fa tutto da solo. Ha reso famosa la felpa rossa della Fiom. Ha pubblicato un libro intervista. Sta sempre più spesso in tivù, con una presenza aggressiva rafforzata da urlate rabbiose. Pratica una politica di spregiudicata apertura ai tanti movimenti antagonisti. Vuole trasformare la Fiom in un partito? Non credo che cadrà in questo errore. Sa che nell’opinione pubblica italiana i partiti sono mostri parassitari da uccidere, non da inventare.
Ma a somiglianza del Bruciato, anche Landini presenta un enigma. Riguarda il suo rapporto con Renzi. All’inizio del governo rottamatore sembravano destinati ad allearsi. Poi Landini ha compreso che poteva essere un abbraccio mortale per la Fiom. E venerdì, dopo lo scontro tra gli operai di Terni e la polizia, ha deciso di bollare il premier, il suo corteo di ministre maliarde, gli spettacoli delle Leopolde.
Intervistato da Roberto Mania di Repubblica, ha scandito: «Ho detto basta alle Leopolde dove si discute soltanto tra gente che la pensa nello stesso modo. Vuol dire basta a un modello che salta ogni mediazione e dove chi comanda parla direttamente con il popolo. Questo processo porta a una riduzione degli spazi democratici».
Traduzione? La Fiom si prepara a un conflitto con il Giaguaro di Palazzo Chigi. Per cominciare, lo incalza invocando di continuo una patrimoniale che, in realtà, esiste già e uccide il ceto medio. L’industria è in crisi nera, le vertenze più difficili sono almeno 160. Landini sa benissimo che un’altra tassa sulle proprietà e sui risparmi degli italiani non salverà nessun posto di lavoro. Ma con la sua lotta di classe vuole dimostrare a Renzi che non sarà affatto un avversario gentilone, per rifarsi al nome del nuovo ministro degli Esteri, l’ennesimo miracolato di San Matteo.