Filippo Facci, Libero 1/11/2014, 1 novembre 2014
UNA TRATTATIVA CON LO PSICHIATRA
Continuare a ripetere che Borsellino sia stato ucciso “perché si opponeva alla trattativa” (fatta per abrogare o mitigare il carcere duro) ormai è da malati, non è più una faccenda di opinioni divergenti. Ha ripetuto il Capo dello Stato nella sua testimonianza: “Sono convinto che la tragedia di via D’Amelio rappresentò un colpo di acceleratore decisivo per la conversione del decreto sul carcere duro”. Ma c’è poco da esserne convinti: andò così e basta. Dopo la morte di Falcone del 23 maggio 1992, il governo predispose l’introduzione del 41bis in data 8 giugno: ma il decreto rimase inapplicato perché molti in Parlamento si opponevano. Quando fu varato? Lo fu, attenzione, immediatamente dopo la strage di via D’Amelio, e a causa della strage di via D’Amelio. Quando vi fu la strage, a esser precisi, mancavano pochi giorni alla scadenza del termine di approvazione del 41bis: bastava aspettare e sarebbe decaduto.
Invece la morte di Borsellino, presunto ostacolo a una trattativa fatta per abrogare un provvedimento che non c’era ancora, in pratica ne causò l’introduzione. È logico: non basta? Serve il timbro della magistratura? Eccolo, è nella sentenza del 17 luglio scorso che ha mandato assolto Mario Mori: “Senza riscontro è rimasta l’eventualità che lo stesso dr. Borsellino abbia manifestato la sua opposizione ad una trattativa fra esponenti delle Istituzioni e Cosa Nostra”. Eppure, anche a Servizio Pubblico di giovedì sera, su La7, dei poveracci ripetevano questa sanguinosa sciocchezza.