Romano Prodi, Il Messaggero 2/11/2014, 2 novembre 2014
L’AUMENTO DEGLI OVER 65 È UNA RISORSA NON UN PESO
Con tempi diversi da paese a paese e da continente a continente l’umanità sta camminando verso nuovi comportamenti demografici. Al vecchio equilibrio che si basava su alte nascite ed alte morti la rivoluzione industriale ha sostituito generazioni che, con alti tassi di nascita accompagnati dall’allungamento della vita media, hanno portato all’esplosione della popolazione mondiale. Ora stiamo entrando progressivamente in una nuova era, con i paesi economicamente avanzati o in via di trasformazione (come la Cina) che vanno verso una stabilizzazione della popolazione con una natalità sempre più bassa ed un progressivo allungamento della vita media e paesi ancora nella fase iniziale di sviluppo (come quelli africani) nei quali il permanere di un elevato livello di natalità e l’allungamento della vita provocano l’esplosione della popolazione.
In tutti i paesi ricchi la popolazione oltre i 65 anni (cioè di coloro che sono definiti tecnicamente anziani) sta fortemente aumentando e, presumibilmente, continuerà ad aumentare anche in futuro: dal 15% del 2010 arriverà a quasi il doppio intorno alla metà del secolo. In Italia il cambiamento è stato più rapido della media dei paesi ricchi: la speranza di vita in meno di un secolo e mezzo si è allungata di 44 anni per gli uomini e di 49 per le donne. Gli ultra sessantacinquenni, che erano il 6% all’inizio del secolo scorso, sono di poco cresciuti fino alla fine della seconda guerra mondiale e sono poi esplosi, raggiungendo ora il 18% degli uomini ed il 23% delle donne.
Mentre poco più di un secolo fa una persona su tre arrivava a 65 anni ora vi arrivano nove persone su dieci e ancora di più vi arriveranno in futuro. Naturalmente la prima reazione è di ritenere che tutto ciò non sia sostenibile e che sia proprio quest’invecchiamento che rende più lento il progresso. Certo non può che fare riflettere il fatto che un bambino che nasce oggi e che, presumibilmente, camperà fino a cent’anni, passerà in media un maggior numero di anni come pensionato che come lavoratore attivo. Tuttavia (v. Viviana Egidi, neodemos.it) le cose sono fortunatamente un poco più complesse perché negli ultimi anni sono incredibilmente migliorate le prestazioni fisiche e intellettuali delle persone anziane.
I sempre più numerosi studi disponibili ci mostrano che gli anni che una persona anziana si aspetta di vivere senza disabilità si sono accresciuti nel corso dell’ultima generazione e tenderanno ad aumentare anche in quella futura. Naturalmente, data l’incredibile crescita del numero degli anziani, questo miglioramento delle condizioni di vita è destinato a convivere con un continuo aumento del numero assoluto delle persone disabili: coloro che hanno bisogno di assistenza 24 ore su 24 continuerà perciò ad aumentare. E così aumenterà la spesa sanitaria e il numero di coloro che dovranno prendersi cura degli inabili.
In una situazione così diversificata e così diversa dal passato dovranno naturalmente cambiare anche le politiche. Enormi cambiamenti sono in atto in tutti i paesi sviluppati: il numero di persone oltre i 65 anni che lavorano è aumentato del 5% in quindici anni e, purtroppo, è in parallelo diminuito il livello percentuale delle pensioni rispetto al salario percepito in precedenza. Credo tuttavia che questo processo, proprio per le mutate caratteristiche dell’invecchiamento e l’aumentata variabilità delle condizioni delle persone anziane, debba essere gestito con maggiore consapevolezza. In primo luogo l’età di pensionamento non può più essere fissata ad una data precisa ma deve essere sempre più variabile, così come sempre più variabili stanno diventando le condizioni e le caratteristiche delle persone. A questo deve associarsi un parallelo cammino in direzione di un pensionamento graduale, prevedendo periodi intermedi, anche lunghi, di part-time e di occupazioni diverse da quella precedente.
Tutto ciò non è in contraddizione con la necessaria attenzione per i problemi dell’occupazione giovanile perché l’occupazione può crescere solo in un equilibrio economico sostenibile. Condizione fondamentale della sostenibilità è proprio l’utilizzazione armonica di tutta la forza lavoro e di tutte le risorse umane disponibili, anche di quelle più anziane, purché capaci e desiderose di continuare un’attività lavorativa. È chiaro che perché questo processo possa avere risultati positivi dal punto di vista umano ed economico, bisogna mettere in atto una politica preventiva per incoraggiare modelli di vita più sani e una politica del lavoro capace di utilizzare tutti gli strumenti di formazione permanente.
Oggi si tende a sottolineare l’invecchiamento e il basso livello di natalità come uno dei maggiori limiti alla crescita dell’economia italiana. Il problema esiste ma non possiamo trascurare il fatto che anche la Germania, Spagna e Giappone hanno caratteristiche demografiche simili alle nostre e che la dinamicissima Corea del Sud ha tassi di natalità ancora inferiori, anche se la sua rivoluzione demografica è più recente. Nemmeno dobbiamo trascurare il fatto che, essendo la tendenza ad un forte accrescimento della popolazione anziana comune a tutti i paesi ad alto reddito, almeno una decina di altri paesi presenterà ben presto le stesse caratteristiche demografiche dell’Italia e dei paesi elencati in precedenza. Tuttavia, dato che noi già da ora ci troviamo all’avanguardia del grande problema mondiale dell’aumento della vita media, è opportuno e conveniente affrontarlo insieme ai problemi legati all’abbassamento della natalità e dell’occupazione giovanile. Le politiche della famiglia, per avere successo, non possono essere riservate ad una classe di età ma debbono essere rivolte a tutta la società, moltiplicando le risorse e le energie di ogni cittadino.
Contrapporre giovani e anziani non è interesse di nessuno e fa male a tutti: un paese al passo dei tempi ha bisogno dell’intraprendenza dei giovani e dell’esperienza degli anziani.