Mario Ajello, Il Messaggero 1/11/2014, 1 novembre 2014
«MATTEO MI HA DETTO SOLO: VIENI AL QUIRINALE ORA PERÒ SPARISCO E MI BUTTO NEL LAVORO»
ROMA Le prime telefonate al mattino, e lui: «Già mi chiamate ministro?». Poi la nomina diventa ufficiale, e lui ironico: «Sono ri-ministro». Lo era già stato con Prodi, alle Comunicazioni, nel 2006. Ora a Paolo Gentiloni toccherà trattare con Angela Merkel e, almeno, non avrà bisogno di un traduttore: conosce il tedesco.
TRADUTTORE
Oltre all’inglese e al francese che parla perfettamente, come conferma anche questo vecchio episodio. Ci fu un incontro tra lui, Rutelli - con cui ha fatto tandem alla Margherita e prima ancora al Campidoglio per il Giubileo e per tutto il resto e il loro è stato un sodalizio di una vita anche se ”Franciasco” viene dai radicali e Paolo dal Movimento studentesco, dal Pdup e dall’ecologismo - e Tony Blair e la conversazione andò avanti in inglese senza problemi da parte dei nostri. Poi l’allora premier britannico s’incontrò con D’Alema e ci fu bisogno del traduttore. Proprio in quell’occasione, Blair disse a Gentiloni: «Altro che nuove vie della sinistra, noi dobbiamo far dimenticare la parola stessa di sinistra in Europa». Gentiloni sarebbe stato, molti anni dopo, tra i pochi renziani a non condividere la svolta filo-Pse dell’attuale premier e segretario del Pd.
E comunque, ecco Gentiloni ministro a sorpresa - «Mi ha chiamato Matteo e mi ha detto: Paolo, ci vediamo tra poco al Quirinale» - il quale si avvia per il giuramento nello studio di Napolitano. Il neo-ministro, o ri-ministro, abita a pochi passi dalla sede della presidenza della Repubblica. Su via XX Settembre. Nel palazzo di famiglia, Palazzo Gentiloni. Esce vestito un po’ meglio di quando era rientrato dal lavoro (il suo studio di parlamentare è a via del Pozzetto), anche se Gentiloni è di quelli, ormai pochi, che alla cravatta non rinuncia pur non avendo un’eleganza ostentata.
POTERE
Figuriamoci: la sua cifra è il low profile dell’uomo che studia i problemi e le questioni internazionali sono il suo pallino, pur non avendo mai ricoperto incarichi pubblici formalmente riguardanti la politica estera. Ora si sta avviando a piedi verso il Colle e dice: «La mia priorità? E’ il giuramento». E resta fedele allo stile che si è dato nella giornata di ieri e che è questo: «Ora sparisco, devo soltanto lavorare». Ma tutti lo chiamano, tutti lo inseguono. Mentre lui si gode la gioia del momento e si limita a questo: «Speriamo e penso che possiamo fare qualcosa di buono per il Paese». E ancora, sul marciapiedi verso il Colle: «Questo è il percorso che faccio ogni mattina per andare a lavorare. Oggi mi fermo un po’ prima». Andare in autoblù al Quirinale sarebbe stato ridicolo, vista la vicinanza da casa, e comunque - e non per un fatto di demagogia e di allisciamento di pelo dell’anti-politica - Gentiloni è uno a cui stanno stretti i paramenti del potere. Forse perchè viene dalla storia che ha. Sintetizzabile in questa scenetta. A De Mita, quando lo incontrava nelle riunioni della Margherita, brillavano gli occhi: «Quando sento il cognome Gentiloni - diceva l’anziano Ciriaco - capisco che questo non è un partito estremista e che ha radici nella vera storia del Paese». Il riferimento demitiano era ovviamente al Patto Gentiloni, che riportò nel 1913 i cattolici nella politica italiana superando il trauma della Breccia di Porta Pia e il non expedit.
IL TASSELLO
Gentiloni è il nuovo tassello in quello che viene soprannominato in slang «er governo Rutelli», vista l’abbondanza di ex rutelliani nella squadra di Matteo? Di sicuro, come spiega uno dei suoi amici di sempre, Michele Anzaldi, a sua volta deputato democrat e appartenente a quel gruppo affiatato di ex rutelliani tra cui Filippo Sensi e Roberto Giachetti: «Paolo è sempre stato il più renziano di noi». Ma sarebbe sbagliato credere che, nel suo caso, abbia premiato soltanto la fedeltà. C’è anche un fatto di meritocrazia (Gentiloni fin dai tempi del liceo Tasso è uno ritenuto trasversalmente bravo) e un segno in controtendenza: diventa ministro in nome della sua esperienza politica di lungo corso di cui Renzi è il portabandiera. Ieri, alla Camera, appena si è avuta la notizia della nomina, commenti così: «Ora Renzi, oltre a Padoan e a Franceschini, almeno un terzo ministro capace è riuscito a darselo. Continuando così, tra un’aggiunta e l’altra, magari verrà fuori un governo all’altezza del premier». Facezie.
POKER
Di sicuro, con Gentiloni, la Farnesina avrà una tendenza più filo-americana (alla Mogherini veniva rimproverato di essere troppo accondiscendente con le ragioni di Putin) e più filo-israeliana. E di sicuro, un politico come Napolitano - che aveva avvertito Renzi di non esagerare in leggerezza nello scegliere il titolare della Farnesina - si trova con naturalezza con Gentiloni. Il quale giorni fa, andando insieme a un amico giornalista a trovare un vecchio compagno in clinica di riabilitazione, Aldo Garzia, gli ha portato in regalo l’ultimo libro di Stefano Benni. E in queste settimane è solito dire a chi gli chiede un parere sul best seller politico-economico di Piketty, «Il Capitale nel XXI secolo», che lui ha letto in inglese: «Bastano le prime 80 pagine». Ora leggerà di meno? Improbabile. Ma di sicuro gli gioveranno internazionalmente - forse a partire dal caso marò - le sue doti di discreto giocatore di poker.