Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 02 Domenica calendario

Il Giornale, domenica 2 novembre 2014 È finita come doveva finire: Stefano Lorenzetto s’è tenuto il suo lavoro e il vostro cronista il proprio

Il Giornale, domenica 2 novembre 2014 È finita come doveva finire: Stefano Lorenzetto s’è tenuto il suo lavoro e il vostro cronista il proprio. Però al momento del congedo avremmo potuto scambiarcelo: lui giornalista, io cartolaio. «Sarò sincero: per anni, fino a quando Il Giornale e Panorama non hanno cominciato a mettere la fotina in testa alle interviste, mi sono vantato per scherzo con gli amici di essere l’autore dei suoi articoli». Sarò sincero anch’io: soffro tuttora di turbe infantili che potrei curare solo in una cartoleria. Ripenso all’intero pomeriggio del bambino in trepida attesa di una penna fibra Lus da 100 lire, che il maggiore dei miei fratelli aveva promesso di comprarmi alla Standa quando usciva dall’ufficio: rincasò invece a mani vuote. Riprovo la desolazione di una matita acquistata in tabaccheria, dalla grafite tanto dura da bucare i fogli dell’album. Rivedo i quaderni Pigna della serie Regioni d’Italia, ognuno di un colore diverso: gialla la copertina del Lazio, con il disegno del Colosseo e la fotografia di Trinità dei Monti; rossa quella del Piemonte, con la Mole Antonelliana e il Castello del Valentino. «Quelli ho fatto in tempo a usarli anch’io», sorride Stefano Lorenzetto. Solo che a lui ne davano a volontà, mentre a me venivano concessi con il contagocce dal maestro Gennaro Cioffi, tenutario della scorta di cancelleria per gli alunni di famiglie indigenti fornita da Patronato scolastico e Cassa di risparmio. Da molto tempo qualche estimatore infervorato insisteva perché, dopo 700 e passa puntate di Tipi italiani, intervistassi me stesso. Eccolo accontentato. «Questo» Stefano Lorenzetto ha 51 anni anziché 58, è alto 1,92 anziché 1,75, pesa 110 chili anziché 114, porta il 45 di scarpe anziché il 46, è nato a Trieste anziché a Verona, è figlio di cartolaio anziché di calzolaio. Scapolo impenitente, fino ai 40 anni ha preferito rincorrere le gonnelle anziché cercarsi l’anima gemella («ho dedicato più tempo alle donne che a me stesso e al lavoro»). Fra barca a vela e tennis ci ha rimesso tutti i menischi. Un po’ poco, per meritare un’intervista. Sennonché Lorenzetto, che a differenza di noi giornalisti ha un cuore d’oro, da tempo provava un acuto disagio notando che molti, troppi, dei suoi clienti non riuscivano a comprare il corredo scolastico completo ai figli. Per mancanza di soldi. Che fare? Avendo casa e bottega nella capitale europea della torrefazione e dei locali storici un tempo frequentati da letterati come James Joyce, Italo Svevo, Umberto Saba e Scipio Slataper (il Caffè degli Specchi, in piazza Unità d’Italia; il San Marco, in via Battisti; l’Urbanis, in via del Teatro; il Tergesteo, nella galleria di piazza della Borsa; il Tommaseo nell’omonima piazza), a Lorenzetto è venuto subito in mente il «caffè sospeso», antica tradizione di Napoli, dove i clienti dei bar spesso lasciano pagata una tazzina in più per un successivo avventore che non può permettersela. E così ha lanciato un’iniziativa che lo iscrive d’ufficio nell’albo d’oro della generosità italica: l’Aiuto in sospeso. Chi in questo periodo entra all’Eliotecnoservice, il suo negozio di via Vidali, può acquistare alcuni articoli scolastici in più, con la certezza matematica che saranno consegnati agli scolari e agli studenti bisognosi di Trieste. L’Eliotecnoservice è nata nello stesso anno, 1973, in cui l’altro Lorenzetto siglò il suo primo pezzo su un giornale. A quel tempo lo Stefano Lorenzetto di Trieste frequentava ancora le elementari, senza problemi di cartelle, astucci, penne, colori, quaderni, righelli. Il padre Tullio, già dirigente della Barilla a Parma e poi capoarea del dado Lombardi (reclamizzato a Carosello dal vigile siculo Concilia e dal pedone veneto Foresto con un ritornello inventato dal grande Marcello Marchesi: «Non è vero che tutto fa brodo, / è Lombardi il vero buon brodo, / alla sera, la mattina, / tutti i dì con Lombardi xe bon!»), era tornato nella sua Trieste proprio per aprirvi la cartoleria, forte di un’esperienza giovanile come perito edile e insegnante di disegno tecnico. «Si specializzò fin da subito nelle copie eliografiche per ingegneri, architetti e geometri, quelle puzzolenti su carta fotosensibile sviluppate grazie ai vapori d’ammoniaca, che oggi gli studi professionali si stampano da soli con il plotter», racconta Lorenzetto. «Purtroppo papà morì a 53 anni e io dovetti abbandonare gli studi di ingegneria civile per subentrargli nell’attività commerciale». Sta qui al bancone ormai da un trentennio, affiancato dalla mamma Giuliana e dal commesso Bruno Petelin, che arrivò a bottega al pari suo. Non s’è ancora stufato? «No, perché il contatto quotidiano con gli scolari mantiene giovani. Sono pagine bianche, sulle quali puoi ancora scrivere dritto. Si lasciano consigliare sui prodotti. È come se continuassi a dare ripetizioni di disegno tecnico, matematica e fisica, cosa che ho fatto a lungo con gli studenti dai 13 ai 18 anni». Che cos’ha di bello il suo lavoro? «Le belle arti. È un settore meraviglioso, nel quale mi sono specializzato. Ho avuto l’onore di annoverare fra i miei clienti, fino alla morte, lo scultore e designer Ugo Carà, al quale è intitolato il Museo d’arte moderna di Muggia. Le sue opere si trovano anche al Metropolitan museum di New York. In Italia non riscosse tutto il successo che meritava perché aveva due difetti: era di destra e non volle mai separarsi dalla sua Trieste». Quali sono gli articoli più venduti? «I pennelli per pittori. Non credo che esista nelle Tre Venezie un emporio attrezzato quanto il mio per qualità artigianale. Ne ho di tutti i tipi: fatti con setole di bue o con peli di vajo kazan o di martora, i famosi serie 7 che la regina Vittoria commissionò nell’Ottocento a Winsor & Newton, ditta di Londra che tuttora produce anche l’inchiostro China». Che cos’è il vajo kazan? «Uno scoiattolo russo». Povero vajo kazan. E povera martora. «Gli artisti non sono molto interessati all’ambientalismo, badano ai risultati. L’eccezionale capillarità dei peli di vajo kazan, unita all’estrema morbidezza, rendono questi pennelli imbattibili con i colori a base d’acqua». Li fanno in Russia? «No, in Toscana. Ormai abbiamo battuto in bravura tedeschi, inglesi e francesi. Io compro solo prodotti nazionali, se posso. Per aiutare il mio Paese. Anche se mi fa vergognare d’essere italiano». Perché? «Le pare normale che mi sia dovuto inventare l’Aiuto in sospeso?». Non tanto. «Che Paese siamo, se non riusciamo nemmeno a mettere in condizione di parità gli alunni delle scuole primarie? I bambini non hanno tutti diritto ad avere le stesse matite, gli stessi colori a cera, le stesse squadre, gli stessi compassi?». Sì. «Ecco. Invece questi poveri genitori vanno in crisi perché non riescono a soddisfare le più banali richieste degli insegnanti. Non hanno proprio i soldi per farlo. Dall’altra parte, vedo la spregiudicatezza delle grandi marche che se ne approfittano. Gli astucci delle Winx costano dai 12 ai 25 euro». Quanto deve spendere una famiglia per un bimbo in prima elementare? «Con lo zainetto? Sugli 80-100 euro». E un figlio alle medie quanto costa? «Dai 100 ai 120, se ricicli qualcosa. Non parliamo degli istituti a indirizzo tecnico, dove fra calcolatrici e strumenti di precisione si arriva ben oltre i 150 euro». Nel conto che cosa incide di più? «Lo zainetto. Che io per principio ho smesso di trattare, perché non riuscivo più a tener dietro alle dissennate varianti imposte ogni anno dalla moda». Bei tempi quando avevamo solo i quaderni Pigna delle regioni italiane. «E gli album da disegno Giotto no?». Con le losanghe laterali in copertina e l’immagine di Cimabue intento a osservare il giovane allievo mentre tratteggia una pecora su una pietra. «Non ne esistevano altri in commercio. Pensi che oggi in 100 metri di negozio devo stipare oltre 15.000 referenze. Soltanto una matita Derwent nelle tre serie di colori arriva a 250 pezzi. Per fortuna che ho anche 70 metri quadrati di magazzino». Come funziona l’Aiuto in sospeso? «Ho selezionato gli articoli indispensabili per la scuola. Il cliente viene qui, sceglie fra quelli o fra altri e li destina in beneficenza. Ci aggiungo un 10 per cento di tasca mia. Una volta la settimana porto tutto all’Emporio della solidarietà, gestito dalla Caritas. Mi faccio firmare un bollettario, scansiono le ricevute e le pubblico sulla nostra pagina Facebook e sul sito». Molto fiscale. «La gente è generosa, ma vuole la certezza che il suo gesto di solidarietà vada a buon fine, che non ci siano sprechi o ruberie. Da questo punto di vista l’Emporio di via Chiadino è una garanzia. Mi si stringe il cuore nel vedere mamme che escono da lì alla spicciolata con gli spaghetti e la passata di pomodoro. Vi accedono solo persone disagiate munite di tessera a punti rilasciata dopo controlli incrociati, dalla quale si scala l’importo dei generi di prima necessità man mano che vengono consegnati. Il budget è commisurato ai bisogni di ogni famiglia. Non volevo ritrovarmi con bambini senza quaderno dotati di Iphone 6». Da quanto tempo s’è accorto che tanti genitori non ce la fanno più a comprare la cancelleria? «Dal 2009. A ogni anno che passa è sempre peggio. Mi chiedono articoli di basso prezzo e scarsa qualità, che sono stato costretto a procurarmi. Sempre di produzione italiana, eh. Roba “made in China” nella mia bottega non ne voglio. Lei dovrebbe vedere che porcherie arrivano dall’Oriente. I rappresentanti mi raccontano cose inaudite su enormi capannoni nella provincia di Padova dove all’interno è stivato di tutto, compresi milioni di prodotti tossici. Pare che i titolari sappiano in anticipo quando sta per arrivare la Guardia di finanza». Ha avuto una buona risposta l’Aiuto in sospeso? «Ottima. Soprattutto dai ceti più umili e dai pensionati». Me lo diceva sempre un mio amico missionario, don Franco Pasini, che aveva assistito i terremotati del Belice e poi andò a morire di fatica a Porto Mourtinho, un toponimo un programma, nel Mato Grosso do Sul: «Le opere buone si fanno con le preghiere dei ricchi e i soldi dei poveri». «Entrano triestini dai 30 ai 70 anni che non hanno bisogno di nulla: vengono qui soltanto per donare l’astuccio ai bambini che non possono permetterselo. Persone meravigliose, guardi, tanto che mi sento in dovere di fargli lo sconto, perché ci vuole poco a capire che avrebbero bisogno di aiuto pure loro». Il contribuente più in vista di Trieste, Riccardo Illy, s’è fatto vivo? «No, né mi aspettavo di vederlo». Forse s’è dimenticato di quand’era scolaro: sostiene di non ricordare nulla di sé prima dei 12 anni. «Voglio sperare che disponga di altri canali per la beneficenza». Lei che alunno è stato? «Né buono né cattivo. Studiavo il minimo indispensabile per essere promosso. In italiano non andavo oltre il 6. Non ricordo più neppure una delle poesie che mi costrinsero a imparare a memoria. Invece ero molto bravo in matematica e nelle materie scientifiche». Immagino che abbia sempre avuto il suo bell’astuccio e il suo bel corredo. «Matita, gomma, due penne biro Bic, la cartella in similpelle con fermaglio. Nient’altro. La prima stilografica, una Parker d’argento, me la sono presa qui in negozio quand’ero già adulto». Oggi come se la cava? «Possiedo la casa di 150 metri quadrati in cui abito, il negozio con il magazzino, una Smart. Sul conto corrente alla Banca popolare di Vicenza ho 4.000 euro. Negli ultimi due anni gli affari sono calati del 10 per cento. L’unico dipendente mi costa 33.000 euro l’anno. Nel 1987 ogni 100 lire in busta paga comportavano 30 lire di tasse. Oggi per ogni 100 euro che gli consegno devo versarne allo Stato altri 95». È angosciato dalla crisi? «Tanto. Checché ne dica Matteo Renzi, siamo in caduta libera». Come vede il futuro? «Garibaldi ha sbagliato tutto. È ancora l’Italia dei Comuni. Anzi, siamo due Italie: Nord e Sud. Però se oggi si votasse per l’indipendenza del Triveneto, finirebbe come in Scozia. Guardi Trieste: è di destra, ma ha un sindaco di sinistra, Roberto Cosolini del Pd. Comunque lo ringrazio. Per l’Aiuto in sospeso ho interpellato varie autorità. Lui è stato l’unico a rispondermi, nel giro di 24 ore». Vede all’orizzonte qualcuno che possa togliere l’Italia dalle secche? «No. Ed è assai difficile che ci traghettino nel futuro politici costretti a usare il pannolone». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio). LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.