Dario Pellizzari, Avvenire 1711/2014, 1 novembre 2014
DAL MILAN A ROCCA PRIORA: IL FAVOLOSO MONDO DI MARCO AMELIA
Chiariamolo, per giocare ancora?
«Scenderò in campo soltanto se entrambi i portieri della squadra non saranno disponibili. E credo che sia un’eventualità remota. Diciamo che mi accontenterò di seguire i ragazzi ampione del mondo con la maglia della Nazionale nel 2006, oro agli Europei Under 21 del 2004 e bronzo ai Giochi olimpici di Atene dello stesso anno. In Italia, due scudetti portano anche la sua firma: Roma 2001 e Milan 2011. In più, una Supercoppa italiana messa da parte con i colori rossoneri e un campionato di Serie C vinto tra i pali del Livorno, il club che gli ha consentito di farsi grande nel grande calcio. La scorsa estate, Marco Amelia decide di chiudere i conti con il Milan e di dire no alle proposte che gli piovono da tutta Europa. Per mettersi a disposizione a tempo pieno della squadra di Rocca Priora, il paesino di 12mila anime in provincia di Roma al quale è legato da sentimenti lontani e preziosi. Non è un segreto: Amelia va do- in occasione degli allenamenti».
Com’è possibile che un giocatore abituato ai grandi palcoscenici della Serie A abbia accettato di scendere tra i dilettanti? E per giunta, a soli 32 anni, quando per un portiere tutto o quasi può ancora essere scritto?
«È una scelta di vita. Il calcio mi ha dato tanto e ho pensato che fosse giusto, ora che ho ancora energie da spendere sul campo, restituire qualcosa secondo le mie possibilità. Mi è sembrato che il modo migliore fosse fare la mia parte in una scuola-calcio di periferia. Sono realtà come questa che dovrebbero rappresentare il vero serbatoio del calcio italiano. La mia è una decisione che viene da lontano, perché è da 5 anni che gestisco la società come presidente onorario».
Cosa racconterà ai ragazzi del Rocca Priora della sua esperienza nella Serie A? Quali gli insegnamenti da seguire, quali invece le insidie da cui stare lontani?
«Le insidie più grandi sono nascoste in cui quei pseudo-procuratori che promettono tanto e mantengono poco. I ragazzi devono imparare a fare del loro meglio per seguire le indicazioni degli allenatori con cui avranno a che fare, mettendoci tutta la passione di questo mondo perché il calcio è uno sport bellissimo e merita tanta attenzione: sarebbe già tantissimo».
Troppi stranieri nel nostro campionato. Anche tra i pali. Crede sia possibile invertire la tendenza?
«Finché il nostro calcio sarà governato da dirigenti come quelli che ci sono ora, credo sarà impossibile. I campionati di Serie B e Lega Pro, che spesso propongono giovani di grandi prospettive, vengono quasi completamente snobbati dai direttori sportivi della Serie A, che preferiscono mandare i loro collaboratori a seguire i campionati esteri, convinti che altrove tutto sia migliore».
Ma non si ripete da anni che i giovani di casa nostra fanno più fatica ad arrivare nel massimo campionato perché costano di più rispetto ai loro coetanei stranieri?
«Diciamola tutta: guadagnare sui giocatori stranieri è più facile. Ecco la verità».
In estate la cercavano in tanti, perché ha deciso di dire di no a tutti?
«Alcune sono state soltanto chiacchiere da giornale, in altri casi ho preferito lasciar perdere perché in fase di trattativa c’erano persone che non mi piacevano. Col senno di poi, sono convinto di avere fatto la scelta giusta».
Nessun rancore con il Milan? La società le aveva proposto il rinnovo?
«Ho parlato con Galliani nel novembre dell’anno scorso, perché avevo avuto uno sfogo causato da una scelta che non avevo condiviso con l’allenatore (ndr, Massimiliano Allegri). Mi ha detto di stare sereno perché avremmo parlato del rinnovo. Io gli ho risposto che non avrebbe avuto senso rinnovare in quella situazione e così a giugno ho lasciato il Milan con grande rispetto nei confronti della società e dello stesso Galliani».
Dica la verità, dopo aver visto le prime uscite con la maglia del Milan di Diego Lopez ha pensato che avrebbe fatto ancora comodo alla causa rossonera?
«Probabilmente, sì. Ma per restare in una società è necessario che tutte le parti in gioco siano d’accordo. È andata come è andata e non ho rimpianti».