Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 1/11/2014, 1 novembre 2014
DE MAGISTRIS E GLI ALTRI, LE CAPRIOLE DELL’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
De Magistris doveva essere assolto secondo il pm ed è stato condannato dal Tribunale. De Magistris doveva lasciare la carica di sindaco ed è stato rimesso sulla sua poltrona dal Tar perché la legge Severino forse è illegittima.
E ancora: Berlusconi è decaduto perché la legge Severino non prevede una sanzione e ora Berlusconi potrebbe essere riammesso a Palazzo Madama nel settembre 2015 se passasse l’interpretazione estensiva del principio di irretroattività adottata dal Tar per De Magistris.
L’interpretazione è un’arte nobile senza la quale la legge resterebbe un testo freddo incapace di incidere nella carne viva della società. Ma l’eccesso di interpretazione sta producendo un’indigestione di cavilli e incertezza che può fare molto male alla democrazia. Quando si discute di cariche elettive e di norme penali, bisognerebbe avere un po’ più di rispetto per il cosiddetto diritto positivo.
In queste ore, invece, gli esempi di ribaltamenti improvvisi e rumorosi, con conseguenze devastanti nell’agone politico non mancano, a favore o sfavore di entrambi gli schieramenti.
L’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini, assolto in primo grado e santificato, rischia ora 30 mesi di galera per la condanna in appello per peculato. Il deputato di Forza Italia, che ha restituito i 65 mila euro sperperati in terme, viaggi e cene a spese della Rai ora twitta: “Assolto da Corte dei conti, in primo grado e da giudice del lavoro, condannato a 2 anni e sei mesi in appello. Dov’è la certezza del diritto?”. Anche se l’accostamento del direttorissimo al padre del diritto penale può sembrare eccessivo, qualcosa di simile l’aveva detta Cesare Beccaria 250 anni fa.
“In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la conseguenza – concludeva nel Dei delitti e delle pene – la libertà o la pena. Quando il giudice – ammoniva Beccaria – sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza. Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni”.
La certezza del diritto è ovviamente solo un ideale a cui tendere senza aspirare al suo raggiungimento però non sembra che i giudici ci provino, incuranti dello sconcerto prodotto dalle loro decisioni nell’animo dei cittadini.
Se la Cassazione (terzo grado) nell’aprile del 2014 statuisce sul caso Berlusconi che la preclusione alla candidatura prevista dalla legge Severino non rappresenta una sanzione penale bensì un effetto di natura amministrativa perché il fine perseguito dalla norma è quello di allontanare dalla politica i soggetti condannati, se il Consiglio di Stato (secondo grado) ha mantenuto fermo questo principio, rifiutandosi di riammettere i consiglieri regionali fatti fuori dalla medesima legge, non ha molto senso un Tar (primo grado) che sentenzi in senso opposto. Talvolta l’ansia di fare i primi della classe supera il senso di responsabilità. Norberto Bobbio scriveva che nello Stato liberale “L’esigenza della certezza del diritto fa sì che il giurista debba rinunciare a ogni contributo creativo nell’interpretazione della legge, per limitarsi semplicemente a rendere esplicito attraverso un procedimento logico (sillogismo) ciò che è già implicitamente stabilito nella legge”.
E comunque a ben vedere la colpa principale non è del Tar della Campania ma della legge Severino, scritta davvero male. Cesare Beccaria direbbe: “Se l’interpretazione delle leggi è un male, egli è evidente esserne un altro l’oscurità che strascina seco necessariamente l’interpretazione”.
Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 1/11/2014