Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 1/11/2014, 1 novembre 2014
PAOLO, IL “NOBILE” CATTOLICO CHE FU COMUNISTA, VERDE E INFINE RUTELLIANO
Era novembre, come adesso. Era il 1970. Il “Torquato Tasso” di Roma, liceo di una borghesia progressista, era occupato dagli studenti. E un ragazzo di nobili origini, comunista e cattolico, insegnante sporadico di catechismo ai bambini assieme ad Agnese Moro, figlia di Aldo, aspettava l’intervento dei poliziotti: capelli lunghi oltre la nuca e riccioli a formare un cespuglio. Lo sgombero fu violento. Allora Paolo Gentiloni capì che la politica era una passione che poteva praticare, che il movimento giovanile di Mario Capanna lottava per i ragazzi e per gli operai, che i sovietici non erano asfissianti seppur non adorasse la figura di Stalin. Dopo i manganelli e le mazzate, in un istituto che era anche del destrorso Maurizio Gasparri, del monarchico Antonio Tajani e del democristiano Marco Follini, il ribelle Gentiloni litigò con i genitori e scappò a Milano per commemorare la strage di piazza Fontana. Non fu semplice imporre la svolta a sinistra a una famiglia profondamente conservatrice, discendente di Ottorino Gentiloni, ambasciatore laico di Pio X, che diede il nome a un patto siglato tra i liberali di Giovanni Giolitti e l’Unione elettorale cattolica.
I Gentiloni Silverj – anche il nuovo ministro degli Esteri ha il doppio cognome – sono di provenienza marchigiana, ascritti al patriziato di Macerata, Filottrano, Recanati e Cingoli . La prudenza non fa mai difetto a Gentiloni, e così la fuga a Milano fu confessata a un prete gesuita del Tasso. Era per rassicurare i genitori. In classe, Gentiloni era taciturno con i professori, non tollerava domande non prettamente didattiche, secchione eccome. Ai cancelli, organizzava cortei, coordinava manifestazioni. Non portava ancora gli occhiali e neanche quell’aspetto bonario, pacioso, che le furibonde partite a tennis con Massimo Cacciari non hanno mai sgualcito . Dismesso lo spirito dissidente, che non invase territori rivoluzionari (non fu affascinato né da Fidel Castro né da Che Guevara), Gentiloni deviò verso la carta stampata, le riflessioni argute, la disamina a sinistra della sinistra: collaborò a un mensile, Pace e Guerra di Luciana Castellina, epoca di Unità Proletaria per il Comunismo. Era il preludio a una più lunga stagione iniziata nell’84, un po’ verde e un po’ rossa, sintomatica di un centrismo che fiorì negli anni 90 con la Margherita: fu direttore per quasi un decennio di Nuova Ecologia di Legambiente su proposta di Ermete Realacci e Chicco Testa, futuri compagni di racchette e fraschette. Lì conobbe Francesco Rutelli, il gancio a cui Gentiloni ha appeso un’intera carriera. Mentre il radicale Francesco protestava contro il nucleare, Gentiloni denunciava in Procura i camionisti che non rispettavano il blocco festivo nel tratto autostradale Valmontone-Roma.
L’esordio televisivo di Gentiloni (trent’anni fa), che nel secondo governo di Romano Prodi fu ministro per le Telecomunicazioni molto battagliero contro Mediaset, avvenne per ironia proprio al Biscione, a Rete4, la stessa rete che nel 2006 voleva mandare sul satellite. Gentiloni fu ospite a Buon Paese di Claudio Lippi, dove espose l’angoscia per una possibile estinzione degli asini.
Quando l’amico Rutelli sfidò Gianfranco Fini per il Campidoglio di Roma, Gentiloni già lavorava da mesi accanto al candidato sindaco, lo preparava agli incontri con i giornalisti, ne smussava l’irruenza. Fu portavoce di Rutelli, poi assessore per il Giubileo (da bravo erede) e responsabile per la campagna elettorale contro Berlusconi. Era il 2001. Anno che segna l’ingresso di Gentiloni in Parlamento. Incerta la data di uscita.
Paolo&Francesco, coppia che evoca la quasi omonima coppia dantesca, spinsero la propria Margherita verso i Democratici di Sinistra, l’unione non protetta che generò il Pd. Il passo da Rutelli a Veltroni fu breve, mai completo. Ma Gentiloni non s’è preso la “ditta” assieme agli ex comunisti, e sostenne Matteo Renzi contro Pier Luigi Bersani, ch’era già segretario. Senza la guarentigia del Nazareno, perse malamente le primarie per diventare sindaco di Roma, terzo classificato, dopo Ignazio Marino e David Sassoli. Con scarsa lungimiranza, Francesco Nicodemo, una sorta di ascaro renziano, dichiarò su Twitter: “Se io fossi romano e dovessi votare Gentiloni, voterei M5S”. Senz’altro Gentiloni è più scaltro di Nicodemo, e s’è piazzato in Commissione Esteri e nei salotti tv da renziano senza rancore, specie questa sì in via d’estinzione, altro che asini. Come Renzi, Gentiloni ha ammirato Bill Clinton e Tony Blair. Ha atteso un passo indietro, tattica mutuata dai veri democristiani. E il Capo, terminate le alternative, l’ha premiato. Ultimo viaggio all’estero: Washington. Saggio.
Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 1/11/2014