il Fatto Quotidiano 1/11/2014, 1 novembre 2014
“NON MI FIDO PIÙ, SVUOTO IL CONTO E CAMBIO BANCA”
Siena
In Piazza del Campo c’è il luogo simbolo che racchiude la storia di Siena. È la curva San Martino, quella che al Palio non gira ma forma un angolo, è il punto più pericoloso: è qui che i cavalli sono morti e i fantini caduti, compreso Aceto, il più forte e celebrato. Qui c’è il balcone più prestigioso da cui seguire la tradizionale corsa tra contrade, quello della Fondazione Mps. E fino a pochi mesi fa qui c’era anche lo sportello numero uno del Monte dei Paschi, resisteva dal 1472: era una sorta di prima pietra del colosso finanziario. Ora non c’è più, è caduto anche lui.
Al suo posto c’è un bancomat della Banca Cras, il credito cooperativo di Chianciano Terme. “Non è l’unica, di sportelli ne son chiusi tanti: la gente si è spaventata e chiude i conti correnti”. Antonio Marcori è un senese di 49 anni, professione taxista. “Da mesi ormai mi capita di accompagnare alcuni pensionati nei vari sportelli di Mps aperti in città, arriviamo lì e loro mi chiedono di aspettarli fuori dalla banca; loro entrano ed escono con borse, spesso anche valigette, risalgono in auto mi spiegano che hanno ritirato i risparmi, svuotato le cassette di sicurezza e mi chiedono di essere accompagnati a Unicredit o a Intesa; le dico almeno tre la settimana: la gente ha paura”. Anche lui ne ha, dice, ma il conto al Monte non lo chiude. “Io ce l’ho da una vita e non sono tipo da scappare” e poi, racconta, “sono anche azionista”. Piccolo, per carità: “Avevo 60 mila azioni, per non perderle ho dovuto partecipare anche all’ultimo aumento di capitale e ora neanche controllo quanto valgono, mi ci arrabbierei e basta: è una vergogna, lo scriva”. Piccola azionista e come lui “fedele a vita al Monte” è Paola Celli, classe 1938. Ben 35 dei suoi 76 anni li ha trascorsi a lavorare in Rocca Salimbeni. “Era una famiglia, mi creda: quando ho sentito al telegiornale, ormai più di due anni fa, quello che aveva fatto Mussari e cosa stava succedendo mi è venuto da piangere”. Ancora oggi, aggiunge, “quando penso a come eravamo e a come siamo mi viene da piangere”. A farle da eco Luigina Sassi: “Potevamo lastricare le strade d’oro, eravamo la città più ricca d’Italia e si stava bene mica solo per il Monte, ma perché tutto funzionava alla perfezione”. Ricorda: “Quando Mps comprò Banca 121, il primo errore, i conti comunque riuscirono ad assorbire senza troppi scossoni le conseguenze dell’operazione sbagliata, ma i problemi sono cominciati a esserci da quando è arrivato il Pd a comandare. I direttori di filiale sono cambiati ed è arrivata gente da fuori che quasi ti faceva un favore se ci andavi”. Così lei nel 2009 ha preso “tutti i risparmi e quel che avevo e me ne sono andata, ciao neni: chi ti vole!”.
In pochi minuti in piazza si forma un capannello. E la trasformazione di Siena si percepisce anche in questo: fino a un anno fa, quando ancora qui si confidava nei nuovi vertici per il rilancio del babbo Monte, nessuno parlava con i giornalisti. Erano evitati, spesso additati come i responsabili di aver infamato il buon nome di Rocca Salimbeni, un tutt’uno con la città. Ora invece è quasi una corsa a sfogare la frustrazione, la delusione del fallimento, gli errori di fronte ai quali hanno chiuso gli occhi per troppo tempo. E le storie sono quasi tutte a cavallo tra il 2008 e il 2009, l’apice dell’era Mussari, l’acquisto di Antonveneta e quella Fondazione che distribuiva milioni a pioggia ad amici e amici degli amici, hanno dimostrato le indagini poi.
Leonardo Brondi racconta che quasi gli risero in faccia. “Era il 2009, parlai col il direttore del fatto che avevo intenzione di aprire un’attività ma ero titubante perché avevo i fondi per avviarla ma in caso di un ritorno inferiore alle previsioni mi sarei trovato in una situazione di necessità”, ricorda. “Lui mi rassicurò: ‘Vai sereno Leonardo, se tu hai bisogno noi siamo qui, considerami al tuo fianco’. Beh, dopo pochi mesi andai a dirgli che un po’ di liquidità m’avrebbe fatto comodo e lui mi rispose ciccia; alla fine ho chiuso e dichiarato il fallimento”. Ovviamente con Mps, aggiunge, “non ho più voluto avere alcun rapporto”. E come lui molti. Il dato esatto non si conosce, né del numero dei depositi chiusi né dell’ammontare di euro persi. Ma i simboli crollano assieme agli imperi e quello sportello alla curva San Martino non c’è più.
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il Fatto Quotidiano 1/11/2014