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 2014  novembre 01 Sabato calendario

ASALA, PRIMA DONNA SCAFISTA. PER AMORE

PALERMO.
È diventata scafista per amore, per difendere il bambino che porta in grembo, per fuggire dalla sua famiglia che osteggiava quella relazione. Picchiata, rinchiusa in casa e minacciata, Asala Hattay, tunisina, a vent’anni ha deciso di fuggire dalla sua terra per seguire il fidanzato. E per farlo è diventata la prima donna che si è messa al timone di una carretta del mare.
La sua fuga è finita in un carcere italiano, a Catania. Cinque giorni fa, lunedì, il barcone che trasportava 249 migranti e al comando del quale c’erano Asala e il suo uomo Walid Jerbi è stato intercettato da una nave della marina militare e mercoledì, all’arrivo al porto di Catania, i due sono stati arrestati. Il primo capitano, l’uomo al quale i trafficanti avevano affidato il comando di quella carretta del mare — hanno ricostruito i magistrati della Dda e i poliziotti della squadra mobile di Catania — era proprio il suo fidanzato, quel ragazzo di 22 anni dal quale Asala aspetta un figlio. Su quel barcone, in mezzo al Mediterraneo, carico di uomini e donne che avevano pagato per cercare un’altra vita in Occidente, lei aveva un ruolo di comando pari a quello del suo uomo. I due si alternavano alla guida del peschereccio e — stando ai racconti dei migranti soccorsi — non si sarebbero comportati da aguzzini. Alle decine di somali, eritrei, sudanesi e nigeriani che trasportavano non avrebbero mai fatto mancare acqua e viveri.
Al giudice che se le è trovata davanti per l’interrogatorio, Asala ha raccontato la sua storia. La scoperta di essere rimasta incinta due mesi fa e l’inizio del tormento. Con i familiari che la osteggiano, che le chiedono di rinunciare al bambino e alla storia con quell’uomo. Lei risponde «no» e fa la sua scelta d’amore. «I miei familiari non volevano che restassi con Walid, ma io lo amo e l’ho seguito». Seguirlo significa anche affrontare il mare. È così che nella notte tra il 25 e il 26 ottobre i due salgono su quel peschereccio. Walid ne è il comandante. È lo scafista, Asala si alterna con lui. Anche quel viaggio della speranza, però, rischia di finire in tragedia. Il peschereccio comincia a imbarcare acqua, un elicottero che sorvola la zona lancia l’-Sos. Scattano i soccorsi e i 249 migranti vengono tutti salvati da una nave italiana. Tre di loro, una volta a terra, raccontano che al timone di quella barca in legno c’erano Walid e Asala, che avrebbero anche utilizzato un telefono satellitare poi lanciato in mare.
«Non siamo noi gli scafisti, anche io ho pagato mille dollari per salire a bordo», ha detto Asala con le lacrime agli occhi davanti al giudice e al suo avvocato d’ufficio Sergio Di Mariano. «Volevamo raggiungere la Germania, dove abita mio fratello», ha ribadito la ragazza con voce ferma, indosso un paio di leggings e una maglietta larga che nasconde la pancia appena accennata. Contro la coppia ci sono però le testimonianze di quei tre migranti e forse anche le immagini riprese dall’alto. Al vaglio degli investigatori, infatti, ci sono le riprese dell’elicottero della Marina militare. Gli immigrati hanno ricordato alla polizia che proprio mentre l’elicottero sorvolava quel barcone in mare, al timone c’era Asala e Walid, invece, si era mischiato tra i migranti proprio per non farsi individuare.
“Chimera” è il nome della nave della Marina militare impegnata in “Mare nostrum” che il 27 ottobre ha soccorso il barcone e che è approdata tre giorni fa a Catania con, in tutto, 289 immigrati raccolti nelle acque internazionali.
Anche il sogno di restare al fianco del suo fidanzato per Asala, al momento, resta una chimera. Da ieri è rinchiusa nello stesso carcere di Walid, il Piazza Lanza di Catania, ma i due innamorati sono stati sistemati in due bracci diversi.
Romina Marceca, la Repubblica 1/11/2014