Vittorio Zucconi, la Repubblica 1/11/2014, 1 novembre 2014
CATTURATO IL KILLER CHE SI CREDEVA UN “LUPO DELL’EST”
WASHINGTON
Si credeva un “Lupo dell’Est” ed era soltanto un assassino.
Il suo nemico eravamo tutti noi, la società, e chi deve proteggerla. Dopo un omicidio a freddo, un ferimento e 48 giorni in fuga nei boschi della Pennsylvania, Eric Frein è stato catturato e ammanettato con i “braccialetti” d’acciaio prelevati dal corpo del poliziotto che lui aveva ucciso.
Ha appena ventun anni, questo ragazzo cresciuto nella Pennsylvania più rustica, allevato nel culto delle armi e poi nella sottocultura demente del “survivalismo”, di coloro che vivono preparandosi all’Apocalisse, tra montagne di scatolame, munizioni, dinamite, pistole, odio, solitudine e fucili. Armi come la carabina per cecchini di fabbricazione cinese che imbracciò con cura il 12 settembre scorso, appostato nel sottobosco accanto a una stazione della polizia statale, a Blooming Grove, tra i monti Pocono, dove è più facile incontrare un orso bruno che un essere umano e la temperatura è già attorno allo zero.
«Presi la mira con cura e fui stupito da come fu facile abbattere quell’agente. Lo vidi cadere a terra, e per essere sicuro gli centrai di nuovo la testa. Non si mosse più e vidi crollare silenziosamente anche l’altro che cercava di soccorrerlo», ricorderà Eric che ancora due mesi or sono, nel giorno dell’omicidio del caporale Byron Dickson e del ferimento del collega che era accorso ad aiutarlo viveva in casa, con la sua mamma. La sera stessa, dopo l’attacco alla stazione di polizia, se ne sarebbe andato, raccontando alla madre di avere trovato un lavoro in un’industria chimica nel vicino Delaware. Nessuno, da quel momento, lo avrebbe più visto fino alla notte di giovedì, quando un cappio fatto di mille agenti, fra sceriffi locali, polizia di stato, Fbi e Us Marshall, quelli resi celebri da Tommy Lee Jones nel Fuggitivo, lo avrebbe circondato nell’hangar di un aeroporto abbandonato e catturato. Il lungo e inarrestabile braccio della legge, implacabile con coloro che abbattono un agente.
Con l’arsenale e il cibo in scatola, gli hanno trovato pannoloni per adulti, che Eric rubava per evitare i gabinetti pubblici, dopo che la sua foto, presa dall’album del liceo e poi dagli scatti con una sorta di uniforme delle divise dell’esercito serbo, era apparsa fra i 50 più ricercati d’America. Non era comunista, anche se aveva fondato un proprio esercito clandestino di resistenza chiamato “Alleanza Rossa” e neppure filoserbo, avendo scelto quel costume di guerra, da lui chiamato da “Istocni Vuk”, da lupo dell’Est, soltanto perché gli piaceva il look.
Se odiava e aveva preso di mira i poliziotti era soltanto perché ogni forma di autorità, dai tempi dell’espulsione dalla piccola università dove aveva tentato di iscriversi, era la sua nemica. Era “loro”, il “potere” nazionale e sovranazionale oppressivo e le braccia di quel vasto, mostruoso, tentacolare controllo planetario che, nella mente arroventata dei “survivalisti”, distrugge le libertà individuali e sta divorando anche l’America, “the land of the free”, la terra dei liberi.
Liberi, come Eric, di costruirsi un proprio universo nel quale la preparazione per Armageddon, lo scontro finale fra angeli e demoni, fra stranieri e americani, fra bianchi e neri, fra zombie — sì, anche gli zombie — e umani avverrà, un universo da serie tv che ribollendo nella pentola a pressione dei fanatici può esplodere in delitti veri. Si chiamano appunto “prepper”, da “preparation” e sono migliaia, pronti a spendere fortune per costruirsi rifugi anti-tutto, nucleari, biologici, chimici nel cortile di casa o nascosti nella penombra di una nazione immensa e ancora vergine, accanto ai Grandi Laghi del Nord, nelle valli del Montana e del Wyoming. O in Oklahoma dove un altro “survivalista”, Tim McVeigh fece saltare un edificio governativo con tre quintali di esplosivo fabbricato in casa con fertilizzati, uccidendo 168 persone. Un’America primitiva ed esaltata nella quale anche fra città come Philadelphia e Pittsburgh un giovanotto fuori di testa può evadere mille agenti di polizia per 48 giorni credendosi un lupo.
Ma non per sempre. Quando si è sentito circondato nell’hangar dell’aeroporto deserto, nella stessa località dove aveva organizzato il suo agguato, Eric Frein si è arreso senza tentare difesa, accettando di far scattare ai propri polsi quelle manette che i colleghi di Byron, il caporale di 38 anni raggiunto alla testa, portavano sempre con loro nelle battute di caccia, per chiudere simbolicamente con quei braccialetti il cerchio della giustizia. La sfilza di reati che gli sono stati imputati, dall’omicidio premeditato all’assassinio di un agente di polizia, garantiscono che qualsiasi giuria lo condannerà al patibolo, se i difensori d’ufficio non riusciranno a persuadere i giurati che il “Lupo dell’Est” era un demente armato dalla follia di una nazione che ancora crede nelle armi acquistabili come il chewing gum. Un altro ragazzo smarrito nella foresta più buia, al confine labile fra l’ideologia e la psichiatria.
Vittorio Zucconi, la Repubblica 1/11/2014