Francesco Merlo, la Repubblica 1/11/2014, 1 novembre 2014
“SECESSIONE ADDIO DIFENDIAMO I CONFINI” LA CARICA DELLA LEGA DI SALVINI L’IDENTITARIO
La rabbia torna a casa. Gli italiani hanno più fiducia in Matteo Salvini che in Beppe Grillo. E va bene che i sondaggi sono gli oroscopi della democrazia, ma tutti, anche quest’ultimo commissionato per la trasmissione Agorà di Raitre, confermano che a destra retrocede il vaffa e risale il dito medio. E torna sorprendentemente a crescere, sino al nove per cento dei voti, la Lega che pareva morta e sepolta sotto gli scandali del familismo sgangherato del Bossi vecchio e malato, decaduta insieme al corpo dello sciamano che era stato duro e puro ma poi, politicamente imbalsamato, aveva trasformato tutto il partito in una banda di terroni padani, avidi, corrotti e soprattutto ridicoli.
Ma poi è entrato in scena, come risorsa disperata e marginale, Matteo Salvini, nuovo gabbamondo di talento, milanese di 41 anni, ex studente fuoricorso com’era Bossi, ex cameriere in un Burgy, con la barba l’orecchino e i capelli sempre scomposti, neodivo della televisione, rustico e ruvido in perenne opposizione estetica, com’era ai tempi il Senatur. Ebbene adesso quest’uomo nuovo del nativismo sta per ribattezzare “Lega dei Popoli” la carcassa resuscitata di quella gagliofferia con il corno celtico e l’ampolla del dio Po.
La nuova idea vincente? Puntando sullo stesso Salvini sindaco di Milano e su Giorgia Meloni sindaco di Roma questa Lega ha sostituito lo scissionismo con il “sovranismo”, che è il neologismo sciamannato della nuova “destra di popolo”. Definitivamente rottamando gli implosi del berlusconismo, da La Russa a Fitto, da Storace ad Alemanno, Salvini sta dunque confusamente riorganizzando in tutta Italia, da Milano a Palermo, la protesta plebea del popolo piccolo piccolo non più attorno all’ideale “nobile” di non pagare le tasse a Roma ladrona, ma allo slogan «difendiamo i confini». Si sono radicati così nella Lega, a riprova che il populismo è fondato sugli spasmi del più volubile cattivo umore e mai sulla politica, l’odiatissima Patria e quell’inno di Mameli al quale tutta la nomenklaura, Salvini compreso, reagiva con il gesto dell’ombrello. Ma ora contro la Germania e contro l’invasione dei clandestini quella disprezzatissima Patria è valsa a Salvini un tasso di fiducia del venti per cento: più di Grillo, più di quanto Bossi avesse mai avuto.
Di sè Salvini dice: «Se Renzi in camicia bianca è il Gastone della nuova Italia io sono il Paperino in barba e cappuccio». Lo definiscono invece «il leader indiscusso degli identitari» i fedelissimi del “talebano.com” che sarebbero i divulgatori del “salvinismo”, un po’ mostruosità e un po’ filosofia, l’ultima alchimia italiana di dottrina e di rutti plebei, come «castriamo gli stupratori e i pedofili» o «riserviamo sui tram i posti a sedere ai milanesi», o ancora «ci vuole l’esercito per liberare le case popolari occupate a Milano». E però - ecco l’alchimia - ci sono sempre, dietro alle parole d’ordine più rozze, gli echi di dottrine varie, una qualche legittimazione sapiente delle corbellerie. Salvini si aggrappa, per esempio, alle teorie anti euro del titolatissimo novantenne Giuseppe Guarino, che fu pure professore di Napolitano e Draghi. Questo ex ministro democristiano non si concede, ma di sicuro si lascia amare dai salviniani che lo mettono in cima alla nuova élite leghista, quella che ancora festeggia il successo dello “StopInvasione- Day” del 18 ottobre a Milano. Ed è, questa élite salviniana, una via di mezzo tra l’Accademia dei Pugni di Pietro Verri e i Goliardi Milanesi del Supremus Ordo Spadogia nis, quelli che festeggiavano il Pigreco-Day. Il sociologo di riferimento è Fabrizio Fratus, ex segretario di Daniela Santanché, un anti evoluzionista e anti darwiniano che viene dal mondo dei neofascisti milanesi ancora in cerca, secondo lui, di un nuovo Dux. Molte lodi riceve il giornalista Massimo Fini che nella Matricola Nobilium è titolato “Antisistema”. E poi «sulla nostra Radio Padania dice Salvini - parla un filosofo come Diego Fusaro che non è certo di destra», ma è anzi un neomarxista allegro, allievo trentunenne di Gianni Vattimo e ideologo no Tav che Salvini ama sia perché «anche io alla sua età ero un fervente comunista, a capo dei comunisti padani» e sia perché «suona leghista sovranista» la seguente tiritera: «La vera violenza che ci viene perpetrata quotidianamente è quella dell’economia sugli uomini, delle agenzie di rating, del Fondo monetario internazionale, dell’Europa. Oggi la democrazia non esiste. Oggi lo Stato italiano e quindi il suo popolo non sono sovrani sul proprio territorio».
E però non bisogna credere che il Salvinipensiero esista davvero e che sia un’ideolo- estremista ma coerente come quella per esempio di Giulietto Chiesa «che non è leghista ma è un amico della Lega» dice il leader degli identitari sovranisti. E Salvini è ovviamente un movimentista ma solo nel senso che si muove molto. Si sposta infatti dovunque ci sia una bizzarria, un botto, qualcuno che la spara grossa. Dunque andò in Corea del Nord, il Paese della dittatura più sanguinaria del mondo, e scoprì che «è come la Svizzera», perché ovviamente non ci trovò né Rom né clandestini. Poi ha raccolto nella Cgil le firme per il referendum contro la legge Fornero e dialoga, come abbiamo visto, con i neomarxisti. Ed è pure No Tav, anche se elogia i saluti romani di Casa Pound «che manifestano senza lasciare sull’asfalto neppure una cartaccia come fanno invece quei sudicioni dei centri sociali».
E va a trovare i forconi del Sud che sono, ora e sempre, plebe in cerca d’autore. E a Strasburgo Marine Le Pen lo battezza leader del nazionalismo internazionale, non più cozza padana tagliata fuori dalla modernità, non più folclore locale, ma uno dei capi della reazione vera, del populismo che dall’Olanda di Geert Wilder all’Austria di Heinz-Christian Strache cerca di fermare la storia, «contro i negher che portano l’ebola » dice Salvini. E contro la Germania pigliatutto. La Croce certificata con il dop del gorgonzola e della polenta contro la Mezzaluna del kebab e del cuscus, la minigonna contro il velo, non più la Brianza ma Milano, il padano metropolitano al posto del contadino di Guareschi che non poteva fare a meno della Bassa. Proprio Salvini che fu ripreso in video mentre cantava in birreria «senti che puzza / scappano anche i cani / stanno arrivando i napoletani» adesso cerca il Sud, non solo quello della Poli Bortone e del sindaco di Maletto, ma anche quello emancipato dal folclore borbonico e dagli indipendentismi pittoreschi alla Pino Aprile, il sud della “Buttanissima Sicilia” di Pietrangelo Buttafuoco, che Salvini inutilmente corteggia e pubblicamente celebra come il meridionalismo dell’antiretorica, il nuovo Franchetti- Sonnino.
Ebbene, nonostante tanta cultura, è diventato un cult del grottesco l’invito di Salvini ai militanti leghisti di ritrovarsi in Scozia nei giorni del referendum: «ad Am-burgo, no scusate Stras-burgo, anzi volevo dire Edim-burgo». E va bene che racconta di avere «mancato per soli 5 esami la laurea in Storia » e non in geografia, ma poteva farsi aiutare dalla sua compagna che lavora all’assessorato al Welfare in Regione, ovviamente con Maroni. La verità è che il leghismo di Salvini, odiato dal perdente Tosi confinato nella sua Verona, è fumo negli occhi, la raccolta di tutti i rifiuti d’Italia, una specie di scapigliatura razzista disorientata per disorientare. Salvini si getta in qualsiasi protesta che possa alimentare il suo strampalato movimento. E infatti è andato in Russia e ha incontrato Putin non perché gli piaccia davvero quell’autocrazia cesarista della quale sa meno di quanto sapeva della Scozia, ma perché si è messo alla testa dei piccoli imprenditori italiani che non possono più esportare scarpe, parmigiano e radicchio a causa dell’embargo dell’odiata Unione europea che l’Italia dovrebbe abbandonare, secondo l’economista Alberto Bagnai, un altro professore - insegna a Pescara - che è stato lanciato dalla Padania: «L’Italia può farcela con la nuova lira». Salvini li trova tutti questi ideologi della tracimazione rancorosa, proprio come faceva Bossi. Evidentemente in qualche angolo della Padania ci deve essere lo stampo dell’arruffapopolo di successo, del razzista creativo, dell’intelligenza istintiva al servizio delle ossessioni, che sa usare la tv, facebook e twitter, dove riesce a vendersi come autentico e simpatico. Anche senza la conferma dell’Osservatorio di Pavia, tutti capiscono che le presenze in tv di Salvini si avvicinano per numero ed efficacia a quelle di Matteo Renzi. I razzisti sono una banalità di cui è purtroppo pieno il mondo, ma solo la cosiddetta Padania ne produce ad ogni generazione uno capace di organizzare, con sincera passione e delirio creativo, la lotta contro i poveri, i disgraziati, i vagabondi, e l’Islam, e i gay, i miserabili, i clochard, i Rom e tutti quelli che mettono in pericolo la ricchezza e l’identità della piazza di Vigevano.
Francesco Merlo, la Repubblica 1/11/2014