Goffredo De Marchis, la Repubblica 1/11/2014, 1 novembre 2014
DALLE TV ALLA DIPLOMAZIA IL SALTO DELL’EX RUTELLIANO FOLGORATO DA MATTEO “SONO USCITO DAL FRIGO”
ROMA .
«Sono uscito dal frigorifero», scherza Paolo Gentiloni Silverj, conte di origini marchigiane, palazzo di famiglia a pochi passi dal Quirinale e nuovo ministro degli Esteri. Sognava di fare il sindaco di Roma, di chiudere al Campidoglio «il mio percorso politico», ma alle primarie capitoline arrivò terzo e fu una grande delusione. Da allora Gentiloni ha fatto il deputato semplice. Semplice per tutti ma non per Matteo Renzi, per il quale è stato sempre un riferimento politico e culturale, nonché il primo vero big romano che lo ha sostenuto nella sua cavalcata da Firenze a Palazzo Chigi. Appena si sono create le condizioni, Renzi non lo ha dimenticato. Archiviata l’allergia per i capelli bianchi e per gli over 30-40 (adesso che Grillo non viene più considerato un pericolo), superato il veto contro gli ex ministri (Gentiloni è stato alle Comunicazioni), il premier ha scelto lui. Dicono gli amici del nuovo capo della diplomazia: lo ha fatto fin dall’inizio e pian piano ci ha portato anche Napolitano. Così lo ha “scongelato”.
Gentiloni compirà 60 anni il 22 di questo mese e già sono partiti gli inviti agli amici per una festa in casa dove sul citofono tutti i cognomi sono uguali. L’unico Gentiloni che non abita nel palazzo è zio Pippo, un prete spretato che ha scritto per tanti anni sul Manifesto di materie religiose. Quando prese i voti la famiglia gli disse «tanto tu non hai più bisogno dell’appartamento » e se lo sono diviso gli altri, cugini e nipoti. Anche Paolo comincia la sua militanza nella sinistra extraparlamentare e “gruppettara” lontana dal Pci. Entra nel Movimento studentesco di Mario Capanna e Turi Toscano, rimane nell’Mls (Movimento lavoratori per il socialismo) che confluisce nel Pdup. Gentiloni, laureato in Scienze politiche, sceglie non la via della politica ma del giornalismo. Scrive sul settimanale Fronte popolare, poi su Pace e guerra, la rivista di Luciana Castellina e Michelangelo Notarianni, due fondatori del Manifesto. Nel 1984 la svolta ambientalista che sarà il trampolino per la carriera politica. Diventa direttore di Nuova Ecologia, il periodico di Lega Ambiente. Conosce il verde Francesco Rutelli e Rutelli, quando diventa sindaco di Roma nel 1993, lo prende come portavoce. Ma Gentiloni, da subito, è molto di più. Teorizza la nascita del Partito democratico, di un centrosinistra radicalmente scisso dalle tradizioni comuniste, lo sfondamento nel campo avverso del centrodestra nascente. Le basi del renzismo.
Diventa assessore al Giubileo, è l’uomo forte di una giunta molto rimpianta. Questo passato lo inchioda oggi all’accusa di essere romano-centrico, di non avere la competenza necessaria per occuparsi del mondo. Romano, Gentiloni lo è di sicuro, anche per le radici genealogiche che affondano nello Stato pontificio (suo parente è anche l’estensore del patto Gentiloni). Dei romani ha la battuta pronta. Qualche mese fa un militante vedendolo insieme a Enrico Letta gli urlò più volte: «Tirate fuori le palle». L’ex premier non rispose, Gentiloni invece si voltò e disse: «Adesso?». Una battuta più da conte Max che da conte vero.
In realtà, il vero salto il neoministro lo ha fatto non nella Capitale ma occupandosi delle comunicazioni e di politica televisiva, di cui è sicuramente uno dei massimi esperti italiani. Ha conosciuto tutti i manager televisivi e telefonici del pianeta, è stato un avversario duro di Mediaset e di Berlusconi. Ma non settario, non ideologico, dettaglio che va molto di moda. Il suo obiettivo era rompere il duopolio, non distruggere il Cavaliere. Non è un caso che sia un interlocutore privilegiato di Fedele Confalonieri, che lo stima profondamente. E per tenere le distanze Gentiloni ha sempre parlato con il capo azienda, mai con i figli di Berlusconi. Ha fatto il capo della Vigilanza Rai e il ministro delle Comunicazioni negli anni del berlusconismo. Un compito difficile e per rompere la cappa, Gentiloni è stato tra i principali protagonisti dello sbarco in Italia di Murdoch, cioè di Sky.
E gli esteri? Non se n’è mai occupato quando ha fatto il dirigente della Margherita dov’era soprattutto riconosciuto come grande comunicatore. Dicono gli amici: però Paolo parla tre lingue inglese, francese e tedesco. Non basta, certo. Dall’inizio della legislatura fa parte della commissione Esteri e studia i dossier a fondo. Qualche giorno fa ne hanno avuto una prova i partecipanti a un seminario riservato dell’Ispi. Gentiloni ha preso la parola più volte sul tema delicatissimo della Libia. Sicuramente, ha una linea di politica estera molto netta: filo americana e filo israeliana (come dimostrano i commenti entusiastici della comunità ebraica). I suoi contatti maggiori sono con i think tank progressisti Usa e inglesi, solidamente legati a una politica atlantica.
Ma il premier non lo ha scelto solo per questo. Voleva un politico esperto, voleva rompere la sua stessa retorica della rottamazione, voleva sì un fedelissimo che in verità è un anticipatore del renzismo. Critico feroce della Cgil e di tutto il mondo ex Ds. «Il giorno più bello. Perché abbiamo distrutto il moloch», disse il giorno del successo di Renzi alle primarie per la segreteria. Sposato con Manù, architetto, Gentiloni non ha figli. Ha distribuito affetto e conoscenze ad alcuni “cuccioli” politici: il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, l’ex portavoce di Rutelli oggi deputato Michele Anzaldi (che ieri lo ha atteso in piazza del Quirinale all’uscita dal giuramento), il portavoce di Renzi Filippo Sensi e il direttore di Europa Stefano Menichini che lo adorano come un padre o un fratello. Fino a ieri la sua soddisfazione maggiore era veder crescere questi figliocci. Adesso avrà meno tempo per occuparsene.
Goffredo De Marchis, la Repubblica 1/11/2014