Stefano Semeraro, La Stampa 1/11/2014, 1 novembre 2014
HAIMONA, ALL BLACK D’ITALIA “SONO NATO PER IL RUGBY”
«Chi l’avrebbe mai detto che un ragazzo maori di “Whaka” avrebbe giocato per l’Italia?». Parola di Kevin Lee, che a Whakarewarewa, Nuova Zelanda, è stato l’allenatore di Kelly Haimona, la grande novità azzurra dei test match che iniziano sabato prossimo ad Ascoli Piceno contro i giganti di Samoa. Prima di lui in Nazionale erano sfilati altri giocatori con percentuali di sangue maori - Scott Palmer, Rima Wakarua, Paul Griffen - ma Kelly, che può giocare sia apertura sia centro, è il primo a essere 100 per cento isolano («Risalendo almeno fino ai nonni»). Maori e polinesiani oggi sono ricercatissimi da tutte le nazionali (solo nel giro di quella inglese, che pure ha un serbatoio di 2 milioni di praticanti, al momento ce ne sono 4), che appena possono li naturalizzano per sfruttare le loro straordinarie doti di potenza, aggressività e agilità.
«Il rugby a un maori viene naturale - spiega Kelly, 28 anni, fisico compatto, occhio vispissimo da scugnizzo «pacifico» -, noi giochiamo col “flair”... Come si dice in italiano?». Una parola non basta: fluidità, eleganza, vocazione fisica. Più facile capire se si pensa che Kelly, nato a Rotorua, ha cromosomi imbevuti di rugby. «Nella mia famiglia giocano tutti: da mio nonno (pilone), a mio padre (terza linea) ai miei zii, ai cugini. Chi a “Bay of Plenty”, chi nella polizia neozelandese, chi persino in Giappone come mio zio Clayton McMillan che ora allena le giovanili del Wellington. Potevo scegliere un altro sport? In realtà a scuola da piccolo giocavo meglio a cricket: ero un ottimo lanciatore». Perché cambiare, allora? «Match troppo lunghi. Un giorno mi chiesi: ma posso stare in campo ogni volta 7 ore? E ho piantato lì». Papà Tunohopo Haimona fa il carpentiere, mamma Tania ristoratrice all’interno di un hotel, Kelly è stato «pizzicato» in Nuova Zelanda da Paolo Orlandi. È arrivato da noi nel 2010, poi è tornato a Rotorua per sposare Dana. Sono seguite tre stagioni a Piacenza, con 24 mete, quindi lo scudetto da protagonista in Eccellenza con il Calvisano nel 2013; quest’anno il passaggio alla franchigia delle Zebre, con la quale ha segnato una meta nello storico primo successo in Challenge Cup a Brive.
Brunel lo vede più centro che apertura. «Ma a me basta giocare - spiega lui candido -. Da bambino sognavo gli All Blacks, ora debuttare con l’Italia mi dà grande emozione: perché questa è la mia seconda casa. È un grande Paese: mi piacciono le persone, le città, la storia. Adoro Venezia e Lucca, ma non vedo l’oro di visitare Roma. E poi la cucina: gli anolini e la focaccia sono i miei piatti preferiti». È un maori inopinatamente senza tatuaggi («Me ne farò uno quando avrò un figlio, prometto»), che si vergogna un po’ anche delle sue competenze linguistiche: «È imbarazzante: parlo meglio l’italiano del maori». Sulle chance dell’Italia è ottimista: «Siamo forti in touche, in mischia chiusa e anche con i tre-quarti. Giochiamo bene, ci manca solo un po’ di cattiveria. E fortuna con gli arbitri». Samoa, Sud Africa, Argentina: qual è il match più importante? «Lo sono tutti e tre. All’inizio ero curioso di incontrare il Sud Africa, ma ora dico Samoa: voglio vedere come eseguono la Sivi Tau, l’equivalente samoano dell’Haka». A proposito: da maori 100 per cento l’Haka la saprà fare? «Sì, sì... o forse no». Sorrisone. Chi l’avrebbe mai detto. Haimona, un maori all’italiana.
Stefano Semeraro, La Stampa 1/11/2014