Andrea Cabrini, MilanoFinanza 1/11/2014, 1 novembre 2014
IN PAGELLA MI DO UN 7
[Intervista a Carlo Cottarelli] –
Confessa di aver avuto un solo faro guida: la riduzione delle tasse, in particolare quelle sul lavoro. Ammette di non essere del tutto soddisfatto di come si conclude la sua «missione» italiana, ma traccia un bilancio tutto sommato positivo. E regala al Paese - così sostiene - non solo gli 80 euro in busta paga decisi dal governo Renzi, ma anche una netta riduzione (della metà) di quel gap sul costo del lavoro che divide l’Italia dagli altri Paesi europei. Carlo Cottarelli, il commissario per la revisione della spesa (spending review) nominato dal governo Letta ma poi al lavoro con l’esecutivo Renzi, è salito sulla scaletta dell’aereo che lo riporta a Washington, al Fondo Monetario Internazionale, in anticipo di due anni rispetto a quello che era il suo mandato. E soprattutto con un sorriso a metà. Perché tra le occasioni perse deve registrare la difficoltà di rendere «strutturali» i suoi risultati. Dagli studi di Partita Doppia, il talk show televisivo di Class Cnbc, ha spiegato perché. E passa il testimone a due suoi ideali successori, Yoram Gutgeld e Roberto Perotti.
Domanda. Commissario Cottarelli, si porta in valigia più rammarico o più sollievo?
Risposta. Nessun rammarico; è stato un anno interessante e faticoso, ma credo si siano ottenuti risultati importanti. Magari non in tutte le aree in cui speravo.
D. Ma questa sua partenza anticipata nasconde più una resa o una protesta?
R. Nessuna delle due cose: avevo un contratto di tre anni ma eravamo d’accordo di rivalutare le tempistiche dopo il primo anno. A questo punto mi sono reso conto che il mio valore aggiunto non era poi così elevato e ho bisogno di stare con la mia famiglia.
D. A luglio protestò sul suo blog contro la scelta del governo di finanziare nuova spesa con risparmi non ancora realizzati. È stato allora che ha rotto con Renzi?
R. Non ero d’accordo sul fatto che il finanziamento di nuova spesa avvenisse attraverso proposte di revisione della spesa, perché quelle proposte c’erano già state e, se si volevano utilizzare, lo si poteva fare subito anziché rinviando al futuro un taglio di spesa per realizzare un aumento nell’immediato. Il ragionamento era questo. Poi la cosa non è andata avanti e da quel momento questo tipo di meccanismo non è stato più riproposto, per cui credo sia stato appropriato scrivere quel blog.
D. Ma la relazione con Renzi? Vi siete salutati?
R. Non ho niente di cui lamentarmi: l’ho incontrato l’ultima volta il 7 ottobre, poi sono partito per gli Stati Uniti e quando sono tornato, il 13, i giochi per la legge di Stabilità erano fatti. Mi sembra sia stato occupato con cose ben più importanti che salutare me.
D. Se ne va con lei anche il sogno che in Italia si possa ridurre la spesa pubblica? O lascia un’eredità di progetti concreti?
R. Partiamo dai fatti: la legge di Stabilità prevede riduzioni di spesa per circa 15 miliardi e 3 di questi, già realizzati con il precedente decreto legge 66, che vengono estesi al futuro. Ci sono 6 miliardi su cui discutere con Regioni, Province e Comuni. Se si traducessero in tagli, rappresenterebbero un risultato consistente e servirebbero a realizzare la riduzione della tassazione sul lavoro che per me era l’obiettivo originario della revisione.
D. Molti però temono che questi tagli si tramutino in nuove tasse sui cittadini da parte di Regioni e Comuni.
R. Non credo che i cittadini vedano con piacere un aumento delle tasse locali, quindi gli amministratori territoriali si sforzeranno di evitarlo. E per riuscirci potrebbero utilizzare alcune delle proposte contenute nel mio documento di revisione della spesa. Per esempio, niente impedisce alle Regioni di ridurre le società partecipate.
D. Nella legge di Stabilità su questo punto non c’è granché.
R. Vero, c’è abbastanza poco. Nella delega per la riforma della pubblica amministrazione l’obiettivo in merito alle società partecipate è indicato, anche se con tempi più lunghi. Ma niente impedisce a Regioni o Comuni di agire prima.
D. Si è fatto un’idea di quanto si è risparmiato grazie al suo lavoro?
R. Il risultato quantitativamente più grande è la revisione dei centri di acquisto di beni e servizi, che garantisce risparmi per 2,5-3 miliardi già dal decreto di aprile e promette che aumenteranno fino a 4 nella manovra. Sono stati creati 35 centri di acquisto al posto dei 34 mila precedenti. Servirà per aver maggiori trasparenza e controllo sui prezzi.
D. Quanta parte ha realizzato del suo programma iniziale?
R. Non sono in grado di dire una percentuale. Quello che sappiamo è che l’obbiettivo di risparmio fissato per il 2015 era di circa 16 miliardi lordi e nella manovra finanziaria ci sono risparmi per 15 netti. Non derivano tutti dalle proposte di revisione della spesa ma almeno 7-8 miliardi sì.
D. Come giudica questi risultati?
R. Mah... non si è mai completamente soddisfatti. Ci sono tante cose proposte e non ancora realizzate e questo delude. Prendiamo per esempio le partecipate pubbliche, cui non si è intervenuto. O la riduzione delle spese per l’illuminazione pubblica. D’altra parte tante cose sono state fatte; le maggiori le ho già citate e ce ne sono di meno appariscenti ma significative, come la riduzione delle auto blu, la fusione di cinque scuole della pubblica amministrazione in una sola.
D. In questo anno cosa l’ha fatta arrabbiare di più?
R. C’è un problema di mentalità che ha bisogno di anni per cambiare. Premesso che la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici è rappresentata da persone che lavorano e fanno il loro meglio, c’è una mentalità sugli sprechi che non si riesce a cambiare. Una cosa che mi dà molto fastidio? Negli uffici pubblici si fa fatica a spegnere le luci. Io ho passato un sacco di tempo a spegnere le luci che trovavo accese senza ragione e sempre c’era qualcuno che si lamentava: «Eh, sono saltate le lampadine», diceva. Neanche si immaginava che qualcuno le avesse spente per non spendere inutilmente.
D. Da dove potranno ripartire i suoi successori?
R. Rimane in sospeso la questione della digitalizzazione, a partire dalle spese per realizzarla. Ci sono 300 centri di elaborazione dati per l’amministrazione centrale e oltre 10 mila per tutte le pubbliche amministrazioni. Poi cito l’efficientamento degli edifici pubblici, che si è arenato dopo un cambiamento ai vertici del Demanio ma penso possa ripartire. Poi, ancora, si poteva fare di più sulla riduzione dei trasferimenti a imprese pubbliche, a Fs, Anas e soprattutto alle private.
D. Le Province si trasformeranno in città metropolitane. Immaginava la riorganizzazione in questi termini?
R. Si tratta ancora di cose solo avviate. Tra queste ce ne sono due importanti nella legge delega sulla riforma della pubblica amministrazione. Una riguarda la presenza dello Stato sul territorio, ovvero il numero di prefetture, ragionerie provinciali, uffici scolastici. L’altra riguarda il miglior coordinamento delle cinque forze di polizia. Credo che su questo si andrà al 2016, ma si dovrebbe fare uno sforzo per anticipare.
D. Tempi molto lunghi_
R. Per alcune cose sì. Sulla riforma degli acquisti di beni e servizi si arriverà a novembre, ma doveva essere resa esecutiva a giugno. Le cose sono complicate dai passaggi burocratici. Ho passato parte degli ultimi mesi a spingere e sollecitare.
D. Aveva messo nel mirino anche i costi della politica. E poi?
R. A livello di organi costituzionali c’è stato qualche risparmio per il 2014 e 50 milioni per il 2015.
D. La riforma del Senato ci farà risparmiare?
R. Si, a regime. Ma il percorso è ancora lento.
D. E sulla sanità? Come si fa a risparmiare senza ridurre il livello delle prestazioni?
R. I margini ci sono: basta guardare la differenza di costi tra Regioni. Pensiamo per esempio alle tante ospedalizzazioni che potrebbero essere risolte con il Day Care.
D. Le polemiche più forti hanno accompagnato la sua proposta di tassare le pensioni più alte.
R. La spesa per pensioni rappresenta un terzo della spesa pubblica totale, 250-270 miliardi. Come commissario non potevo non affrontare questo tema, che però è delicato dal punto di vista politico. Per questo è stato messo in fondo all’agenda degli interventi. Se si troveranno i soldi senza dover mettere mano a questo punto, meglio.
D. Renzi ha iniziato a ridurre le tasse sul lavoro, basterà per agganciare la ripresa?
R. Le tasse sul lavoro sono state ridotte della metà a partire dal 2015. Questo ridurrà il nostro gap di competitività in Europa. Però si deve andare avanti, perché il gap va azzerato, non ridotto. E non sono le uniche tasse troppo elevate da ridurre.
D. Gran parte dei risparmi sulla spesa sono serviti per l’operazione degli 80 euro. Una scelta giusta?
R. È stata una scelta politica. Certo, per finanziarli sono state usate anche mie proposte.
D. Chi prenderà il suo testimone? Un nuovo commissario?
R. Non credo sia necessario. Quando l’allora ministro Saccomani mi chiamò, gli chiesi proprio perché avesse bisogno di un commissario. Lui disse che serviva elevare il livello della discussione su questo tema. Penso di essere riuscito a farlo, visto che il concetto di revisione della spesa è entrato nella cultura comune, ma questo lavoro deve essere svolto dalla stessa pubblica amministrazione. E poi credo che ci siano ottimi consiglieri economici del presidente Renzi, che continueranno a lavorare su questo senza fare i commissari.
D. Per esempio, chi?
R. Yoram Gutgeld, Roberto Perotti e altri.
Andrea Cabrini, MilanoFinanza 1/11/2014