Sara Monaci, Il Sole 24 Ore 1/11/2014, 1 novembre 2014
MPS, CONDANNE A MUSSARI E VIGNI
C’è un primo punto fermo nella complessa inchiesta sul Monte dei paschi di Siena, iniziata più di due anni fa. Ieri un segmento del filone dedicato ai derivati sottoscritti con la banca giapponese Nomura è arrivato a sentenza, con la condanna in primo grado dell’ex presidente Giuseppe Mussari, dell’ex direttore generale Antonio Vigni e dell’ex responsabile dell’area finanziaria Gianluca Baldassarri. Pena: 3 anni e 6 mesi di reclusione per tutti, più un’interdizione di 5 anni ai pubblici uffici, per il reato di ostacolo alla vigilanza. La decisione è stata presa dopo tre ore e mezza dal collegio dei giudici presieduto da Leonardo Grassi.
I pm Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso avevano chiesto 7 anni per Mussari e 6 anni per Vigni e Baldassari, mentre i giudici hanno dimezzato la pena. Si tratta tuttavia di un processo complicato perché va ad analizzare reati finanziari, rispetto ai quali non c’è neppure un’ampia casistica in Italia: per questo per i procuratori (e per il Nucleo Valutario della Gdf che ha supportato le indagini) è comunque un successo.
Ecco di cosa si tratta. L’accusa per i tre manager è di ostacolo alla vigilanza, nei confronti di Bankitalia che nel processo è presente come parte civile.
Per il tribunale di Siena Mussari, Vigni e Baldassarri hanno occultato agli ispettori della Banca d’Italia un contratto che avrebbe permesso di capire il livello delle perdite causate dal derivato Alexandria, più volte ristrutturato. È questo il "mandate agreement", ovvero un documento che collega insieme le tante ristrutturazioni e che dà una più facile lettura al bilancio, sommando le tante passività spezzettate.
Il rosso causato da Alexandria ammonta a 300 milioni complessivi - che diventano 700 se si considera anche il derivato Santorini sottoscritto con Deutsche Bank, su cui i procuratori stanno ancora indagando per una vicenda simile, e il più piccolo Nota Italia.
L’occultamento sarebbe avvenuto a partire dal 2009. Il "mandate" sarebbe stato nascosto nella cassaforte di Vigni e poi scoperto dai nuovi vertici del Monte, il presidente Alessandro Profumo e l’ad Fabrizio Viola, dieci mesi dopo il loro arrivo. Ne rintracciano dei riferimenti in alcune mail a settembre 2012, poi lo ritrovano a ottobre 2012.
La condanna dà quindi ragione alla tesi della procura e di Bankitalia. Per le motivazioni si dovrà ancora aspettare, fino a 90 giorni.
Intanto i difensori dei tre manager annunciano ricorso in appello. «Siamo sorpresi e ovviamente faremo appello», ha detto Fabio Pisillo, uno dei legali dell’ex presidente di Mps. «Non sono soddisfatto quando vinco, figuriamoci quando perdo», ha aggiunto l’avvocato Franco Coppi, legale di Vigni. Ancora più pungente Filippo Dinacci, che ha detto che «i testi comparsi in tribunale hanno dimostrato che Bankitalia era a conoscenza di tutta la vicenda».
I due dossier del Monte
Quello sul mandate agreement è un segmento del secondo dossier dell’inchiesta su Mps. Il primo, quello più grosso e complesso, riguarda l’acquisizione della banca Antonveneta dal Santander, avvenuta nel 2008, per un esborso di 9 miliardi, a cui nel tempo si sono aggiunti i crediti inesigibili dell’istituto padovano (anche a causa della crisi finanziaria), che hanno fatto lievitare il conto a ben 17 miliardi.
Un vero salasso per il Monte dei paschi, motivo per cui, secondo i procuratori, si sarebbero affidati alle banche straniere e alla finanza derivata. Lo scopo era "abbellire" i bilanci e continuare a garantire utili, nel tentativo di non far vedere la fragilità dell’operazione Antonveneta.
Il reato in questo caso è l’aver messo a punto l’acquisizione senza aver eseguito correttamente gli aumenti di capitale, al fine di non far diluire la Fondazione Monte dei paschi, che aveva il controllo della banca senese. Anche qui siamo in presenza di reati finanziari: falso in prospetto, manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza. Gli indagati sono otto, tra cui ancora Mussari e Vigni.
Questo primo dossier è stato trasferito alla procura di Milano, su richiesta (accolta) della difesa, secondo cui il reato finanziario più importante, la manipolazione del mercato, è avvenuto nella sede di Borsa Italiana. Ancora è presto per conoscerne gli esiti.
Poi c’è il secondo filone di indagine, quello sui derivati, che vedono come indagati, oltre a Mussari e a Vigni, uno dei vertici europei della banca giapponese Nomura. L’accusa iniziale era di truffa e usura, ma dopo una serie di passaggi - prima dal gip (che ha bloccato una richiesta di sequestro), poi al tribunale del Riesame e quindi in Cassazione - si parla ormai solo di truffa.
Anche questo dossier è stato recentemente trasferito alla procura milanese, su richiesta dei pm senesi. Per loro infatti i due dossier sono collegati: senza l’acquisizione di Antonveneta, dicono, non ci sarebbe stata neppure la necessità di avventurarsi in operazioni finanziarie pericolose, come quella con Nomura.
A Siena dunque è rimasto solo un segmento, una parte più piccola del dossier sui derivati. In questo caso l’ostacolo alla vigilanza è stato compiuto a Siena, ai danni di Bankitalia, e qui si radica il processo.
Infine c’è un terzo dossier allegato, coordinato dalla procura senese: quello sulla cosiddetta "banda del 5%", cioè un gruppo professionisti interni ed esterni alla banca che facevano le "creste" ai prodotti finanziari (tra cui lo stesso Baldassarri), portando fondi neri nei paradisi fiscali. In questo caso però Mps è parte lesa.
Sara Monaci, Il Sole 24 Ore 1/11/2014