Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/11/2014, 1 novembre 2014
L’ORO CADE AI MINIMI DA QUATTRO ANNI
Gli stimoli non sono tutti uguali. Di certo non per l’oro, che negli anni passati era salito alle stelle proprio grazie al quantitative easing della Federal Reserve, ma che ieri ha regito malissimo all’accelerazione degli acquisti di asset decisa dalla Banca del Giappone (Boj). Il metallo prezioso, già sotto pressione da giorni, è crollato di oltre il 3% fino a 1.161,25 dollari l’oncia, il minimo da quattro anni. Nel tracollo è stato accompagnato dall’argento, che è sceso fino a 15,76 $/oz per la prima volta da febbraio 2010, e dai titoli delle società aurifere, colpiti ancora più duramente del metallo che estraggono: l’Etf Market Vectors Gold Miners è ai minimi da ottobre 2008, mentre lo Standard & Poor’s/Tsx Global Gold Sector Index, riferito a 40 società, è sceso addirittura si minimi da dicembre 2001.
Le politiche espansive del Giappone hanno scarso interesse per chi investe sul mercato dell’oro. O meglio: interessano solo nella misura in cui influiscono sul dollaro, e dunque sui tassi di interesse statunitensi, che in questo momento sembrano essere l’unico faro capace di orientare l’andamento del lingotto. L’annuncio a sorpresa della Boj, facendo crollare lo yen, un impatto sul dollaro ce l’ha avuto eccome: il biglietto verde, già in ascesa, è balzato ai massimi da sette anni sulla divisa giapponese e ai massimi da quattro anni rispetto al paniere delle dieci valute principali.
Per l’oro è stata una débâcle. Il metallo, già oggetto di forti vendite in seguito alla riunione della Fed e ai dati sulla crescita Usa, ha perso quota sempre più rapidamente e con l’innesco degli "stop loss" (ordini di vendita automatici, finalizzati ad arginare le perdite su un investimento) ha travolto in rapida successione due importanti soglie tecniche: quella dei 1.200 dollari, che aveva già ceduto all’inizio di ottobre ed era stata nuovamente testata l’altro ieri, e quella dei 1.180 dollari, che invece resisteva da luglio 2010.
Adesso a preoccupare è il supporto posto a 1.170 dollari, un livello che ieri l’oro ha riguadagnato con relativa facilità, ma che non riuscirà a reggere l’impatto se – come tutto lascia pensare – il dollaro continuerà ad apprezzarsi: gli analisti hanno interpretato il comunicato della Fed come "hawkish", ossia foriero di un rialzo anticipato dei tassi di interesse, che ora si prevede possa avvenire a metà 2015.
Se l’oro scenderà con decisione sotto 1.170 $ troverà in seguito pochi ostacoli e c’è già chi è convinto che si arriverà presto a 1.000 $ e forse anche meno: tra questi Goldman Sachs, che da tempo annuncia una caduta a 1.050 $ entro fine anno, e Société Générale, che più prudentemente ritiene che «la discesa sarà graduale e il prezzo scenderà a 1.000 dollari entro due anni», aiutato dalla contemporanea debolezza del petrolio, che – come osserva l’analista Michael Haigh – «sta aggiungendo munizioni alla pressione ribassita sull’oro, perché significa minore inflazione».
Gli operatori stanno ora osservando con ansia il mercato fisico, per cogliere un eventuale segnale di ripresa della domanda: dopo il memorabile crollo di aprile 2013 – quando le quotazioni del lingotto scesero di 225 $ nel giro di due sedute – si scatenò una vera e propria corsa all’oro tra i risparmiatori, soprattutto ma non solo in Asia.
Per adesso tuttavia è calma piatta. Anche in Cina il prezzo dell’oro è crollato, addirittura ai minimi da fine 2009 a Shanghai, e il differenziale con le quotazioni londinesi si è quasi azzerato: cattivo segno. Proprio ieri inoltre la China Gold Association ha confermato che l’appetito cinese per il lingotto resta debole: i consumi nei primi nove mesi dell’anno ammontano a 754,8 tonnellate, il 21,4% in meno rispetto allo stesso periodo del 2013.
@SissiBellomo
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 1/11/2014